Dal primo giorno in cui si sono sciolte le Camere, alcuni uomini politici, anche di una qualche consolidata esperienza, hanno dimostrato scarsa familiarità con la legge elettorale, invocando di schierarsi da una parte o dall’altra. Tutti costoro sono ancora convinti di avere a che fare con un sistema ampiamente maggioritario, così come è stato fino al 2018 quando pure già si votò con l’attuale in vigore. Un sistema, il cosiddetto Rosatellum, che può benissimo non piacere, non piace nemmeno a noi, ma che perlomeno bisogna capire. Esso è stato scritto appositamente per impedire una vittoria netta di una parte sull’altra e questo grazie al ricorso alla quota proporzionale generosamente aumentata.
Nelle critiche bisogna sempre sforzarsi di essere giusti, altrimenti è troppo facile e questo vale anche quando se ne rivolgono al partito democratico. Non si può accusare quel partito di stare al governo persino quando perde le elezioni, perché il partito democratico è stato al governo in questa legislatura in quanto le elezioni nessuno le ha vinte. O per lo meno, le hanno vinte due partiti in lotta fra loro che poi si sono accordati per separarsi nuovamente in malo modo.
Che all’indomani del voto la situazione politica ricalchi quella della scorsa legislatura è dunque probabile. Avremo un primo partito ed un blocco con più voti e seggi, ma non tale da essere pienamente autonomo in Parlamento. Perché ammesso il pieno nei collegi dell’uninominale, nel plurinominale le cose cambiano radicalmente, in quanto il 45 per cento vale solo il 45 per cento. Hai un 55 per cento di voti contro.
L’idea di fare come Berlusconi nel 1994 due coalizioni, una al nord ed una al sud, non era necessariamente un’idea vincente. Meglio una sola alleanza ampia e coesa, senza contare che Berlusconi nel ‘94 si alleò con due distinte forze politiche entrambe sopra il 5 per cento e non al di sotto del 3.
In ogni caso è inutile disperarsi per la sconfitta annunciata prima del tempo. La destra è in testa nei sondaggi dal 2020, quando l’opposizione al governo Conte portò l’onorevole Meloni dal 5 al 21 per cento. Solo il governo Draghi ha contenuto tale crescita. L’obiettivo di sconfiggere la destra, con cui pure si era collaborato, prima di essere irrealizzabile, era sbagliato. Bisogna allora riconoscere a Calenda di aver compreso meglio la situazione politica, intanto aderendo ad un polo autonomo, poi proponendo di rilanciare Draghi presidente del consiglio, chiunque sia nuovamente pronto a supportarlo. Draghi non è parte della lotta politica italiana, è un servitore dello Stato di alto profilo, piuttosto unico a dire il vero, chiamato a gestire una situazione del Paese e internazionale, oltre modo difficile. Nel caso, probabile, in cui dopo il voto non vi sarà una vittoria netta di qualcuno, bisognerà pur trovare una soluzione di governo plausibile. Per carità, è indispensabile porre dei veti, non possiamo certo portare al governo gli amici di Putin. Bisogna però fare attenzione nelle valutazioni.
È più grave scrivere documenti con Russia Unita, il partito di Putin, o fare arrivare i militari russi direttamente in Italia quando già pianificavano l’invasione dell’Ucraina? E visto che l’onorevole Letta ha le carte in regola, non era nemmeno in Parlamento all’epoca dello sbarco russo in Italia, può accreditarsi pienamente come europeista. Bisogna però cominciare con il riconoscere gli errori commessi dalla propria parte. Solo allora si potrà essere convinti di una politica occidentale ed atlantica che ha fatto una scelta di campo netta a favore dell’indipendenza e della libertà dell’Ucraina. Altrimenti si rischia di finire per sbagliare di nuovo e senza nemmeno accorgersene. La sindrome dello sconfitto predestinato, che sbagliato il primo movimento, sbaglia tutti quelli successivi, non possiamo proprio permettercela.