Claudio Baglioni è diventato bravo. Come Guccini. Come De André. Ha vinto il Tenco. Certo, se l’è sudato. Ma che sia finita un’epoca, quella del presunto monopolio culturale della sinistra, lo vedi anche da qui. Negli anni settanta Baglioni per carità. Era il cantante delle ragazzine. Eppure Poster ti stupiva. Tante canzoni ti scavavano il cuore e ti emozionavano come non mai. Ma non lo potevi dire. Perché Baglioni era un disimpegnato. E disimpegnato vuol dire che non faceva apostolato. La cifra estetica della sinistra è sempre stata questa. Criticare Andreotti, ecco, anche questo può bastare. Altrimenti non avevi coscienza critica, questo dicevano i più moderati. Non avevi coscienza di classe, dicevano i rivoluzionari. Baglioni invece non saliva in cattedra. Non ti spiegava cosa è bene e cosa è male. Non metteva bombe. Ti descriveva la vita, quella che capivamo tutti, i primi amori, le delusioni, le sconfitte, le speranze di una generazione che il futuro lo vedeva al massimo roseo, ma non necessariamente rosso.
Tutto il mondo a partire da quel punto di vista, di quello sguardo. Che annullava ogni prospettiva teoretica, ogni slancio autenticamente conoscitivo. Dovevi magnificare i tuoi, raccontare quella stanca utopia che, per carità, qualche base pure pure aveva, ma che appariva appunto tale, un misticismo, un vagheggiare, come ci aveva ammonito Arcangelo Ghisleri, un pericolo per la nazione, come ci aveva avvertito Mazzini, che non voleva una società in conflitto, non voleva parti a guerreggiarsi. L’arte era questo: distruggere l’altra parte, infamarla, degradarla, cancellarla. E se ti dedicavi ad altro, ad una cultura intesa nel senso pieno per esempio, oppure se semplicemente raccontavi la vita, la maglietta fina tanto stretta che dimenticavi tutto, eri un nerd, un immaturo, un tardo-adolescente inadatto a stare in società. Prendi Nanni Moretti. Noiosi i suoi film. Tecnicamente fatti male. Senza la poesia di Pasolini. Ma doveva piacere. Doveva piacere perché Moretti era una maschera, era la coscienza indispettita e rancorosa di una generazione. Poi avrebbe fatto anche qualche film gradevole. Ma negli anni ottanta era soprattutto il cantore dell’alterità altezzosa che si sogna tutto. Della faziosità, che ancora non si siede nel salotto di Fazio ma che già vive la sua tendenza al settarismo e alla pericolosa intolleranza. Non ha importanza chi hai di fronte, Andreotti, Craxi, D’Alema (!), Berlusconi, Salvini, la Meloni. Devi sempre dire che tu sei migliore, che tu hai l’etica immacolata, che tu sei quello che deve dare patenti di cultura e democrazia. La cultura è solo a sinistra, si dice. E tanti saluti a Carducci e a Pirandello, a Croce e a Gentile. Peggio per loro.
La targa a Baglioni è una riparazione per l’amore bello che era proibito cantare. Ora che questa morsa comincia a non esserci più, è ora che con l’arte si ricominci a fare sul serio. Con l’arte, ma anche con la cultura. Che no, non è la propaganda di un militante.
I Pan Brumisti sul palco dell’Ariston nel corso della 3° Rassegna del Premio Tenco nel 1976 | Foto CC0