Se c’è qualcosa che affascina del pensiero di Joseph Ratzinger è la sua lucidità. Il suo saper vedere il filo essenziale delle cose, anche saper definire i confini ideologici con distinzioni immediate tanto da generare entusiasmi, contrastati e critici, anche in personaggi opposti come Giuliano Ferrara e Oriana Fallaci.
L’Europa manca di definizione indiscutibile. Questo è il suo primo grande problema. Noi dovremmo dire: il suo unico problema. Rimane nel cuore e nelle intenzioni di Mazzini, e va bene, è qualcosa che affratella i popoli e mette a sistema le diversità, e va bene anche questo. Ma non c’è niente da fare: sfugge al nostro linguaggio, e al nostro pensiero, qualcosa di radicale e convincente. Tanto che abbiamo bisogno di tornarci più volte, nella definizione. Come quando dai una mano di bianco ma non hai finito perché dopo hai i particolari. Si comincia, nella definizione, persino in modo negativo. Cioè identificando un blocco identitario con un blocco di segno inverso. Solo la diversità ti dà l’idea di chi sei. Così, se cito oggi il mondo arabo, sto citando qualcosa di opposto, qualcosa che non appartiene alla mia cultura. E l’Islam, scrive anche Ratzinger, in una raccolta intitolata La vera Europa. Identità e Missione e pubblicata da Cantagalli, “è sin dal suo inizio, sotto certi aspetti, un ritorno a un monoteismo che non accetta la sua svolta cristiana verso un Dio diventato uomo e che si chiude ugualmente alla razionalità greca e alla razionalità greca e alla sua cultura, che oltre l’idea dell’incarnazione di Dio era diventata parte integrante del monoteismo cristiano”. Dentro la coscienza europea dorme un’altra presa di distanza, questa volta dal cristianesimo. Basti citare il lavoro di Lévi-Strauss e l’idea del ‘monde savauge’ quale il miglior mondo possibile. Anche il nazionalsocialismo, peraltro, nacque con questa impostazione, quella di ritornare a un prima del cristianesimo, a un prima dell’allontanamento giudaico-cristiano da tale natura-selvaggia che veniva celebrata come la ‘vera cultura’. Ma c’è una terza e più potente forma di allontanamento dalla figura storica dell’Europa: il Marxismo. Una ideologia che “scorge il proprio sommo bene nella rivoluzione mondiale, cioè nel totale rifiuto del mondo che è esistito finora, mentre il mondo nuovo che va creato, in quanto negazione della negazione, deve essere la totale positività”. Così il Marxismo, prodotto dell’Europa, figlio degenere dell’idealismo hegeliano della grande tradizione tedesca, diventa il suo più decisivo rifiuto “nel senso di quella identità interiore che essa aveva costruito nella sua storia”.
L’Europa la cogli e la definisci a partire da uno sviluppo. L’Europa non è, l’Europa diventa. Nel senso che per chiarificazione e contrasto l’immagine ti viene a fuoco a leggerla nel divenire della storia. Le sue componenti positive, diciamo meglio, non vengono date una volta per tutte. Ma si sviluppano. E diventano altro. E il loro sviluppo implica l’intreccio con altre tradizioni, e l’intreccio è dialogo, coinvolgimento, una prima tappa di un nuovo sviluppo. Abbiamo la Grecia, nell’idea di Ratzinger. La democrazia, lo ha indicato Platone, è ‘eunomia’, è validità del buon diritto. La democrazia dunque “non è mai mero dominio delle maggioranze, il meccanismo della creazione delle maggioranze deve sottostare alla misura della supremazia, valida per tutti, del nomos, di ciò che è giusto per sua intima essenza, ovvero a condizione di dare valore a quei valori che sono direttive vincolanti anche per la maggioranza”. Abbiamo la cultura (giudaico)-cristiana, dove le parentesi sono le mie, l’eredità latina e il mondo moderno. «Come sappiamo per esperienza diretta, l’epoca moderna è descritta in modo per così dire idealtipico, come essa voleva vedersi, ma in concreto non lo è mai stata. L’ambivalenza dell’epoca moderna si basa sul fatto che essa non riconobbe chiaramente le radici e il fondamento vitale dell’idea di libertà e spinse verso un’emancipazione della ragione che contrasta internamente con la natura della ragione umana, in quanto non divina, e perciò dovette diventare essa stessa irrazionale. La quintessenza dell’epoca moderna appare, in ultima analisi ingiustamente, quella ragione completamente autoregolantesi che conosce ormai solo se stessa, ma che così è diventata cieca e nella distruzione del suo fondamento diventa inumana e ostile al creato. Questo tipo di autonomia della ragione è di certo un prodotto dello spirito europeo, ma nel tempo è per sua natura da considerarsi come distruzione interiore di ciò che non solo è europeo ma è presupposto di ogni società umana».
Su questo punto la visione laica e repubblicana un po’ diverge. L’Europa ha già associato all’idea di una società aperta quella di una responsabilità reciproca. La società descritta da Ratzinger è il regno animale dello spirito, che non è l’unico destino per chi è convinto dell’esistenza di un mondo fatto di Logos. Hegel ci aveva visto chiaro e mai ha sopportato una visione del soggetto basata sul suo isolamento, un Io che si forma a partire da sé. Hegel, dall’autocoscienza in poi, ha sempre letto la sua comprensione delle cose a partire dalla intersoggettività. Lo Spirito è il risultato di un’esperienza di interazione in cui io ho un Io e un altro Io di fronte a me. La presenza dell’altro, in qualche modo, mi limita. Quindi lo Spirito non può essere, per sua natura, il fondamento dell’Io, ma il ‘medio’ attraverso cui l’Io comunica con l’altro Io, cioè come ciò in cui entrambi si costituiscono come soggetti. La distruzione c’è nel momento in cui un atomo si contrappone al tutto di cui si è parte. Ma da Hegel in poi noi non abbiamo nessuna autonomia possibile. Anche il movimento di autoformazione dell’Io è in rapporto costante con l’altro. Non vengo inserito, autonomo e autosufficiente, in una società già formata. Io mi formo all’interno di un contesto che si sviluppa e matura assieme a me. Lo Spirito è questo Io che è Noi e questo Noi che è io. Ci appare come l’esperienza del cogitamus che si sostituisce a quella del cogitus perché è quanto le coscienze fisiche fanno: quello che producono e che ha esistenza e durata al di là delle singolarità.
Quale Europa definire e immaginare, allora? L’eunomia è il presupposto greco. Bene la laicità ma Dio, e questo era già in Mazzini, non può essere spostato del tutto nel privato, ma “deve essere riconosciuto anche pubblicamente come il valore supremo”. Nessuno stato di diritto può sopravvivere sotto un dogma ateo che si radicalizzi. «Le istituzioni regionali, nazionali e soprannazionali dovrebbero intrecciarsi in modo da escludere in egual misura sia il centralismo che il particolarismo. Soprattutto, il libero scambio e l’unità nella molteplicità dovrebbero essere nuovamente ravvivati in grande misura da istituzioni e forze culturali e religiose non statuali». L’Europa, infine, si deve fondare sul riconoscimento e la tutela della libertà di coscienza. Ma libertà, come per i repubblicani, non vuol dire capriccio. Vuol dire pieno dispiegamento delle proprie potenzialità. Non vuol dire voler essere quel che non si è. Da questo punto di vista deve restare alto, secondo Ratzinger, “la promozione della dignità della persona e bisogna promuovere la struttura naturale della famiglia, cioè l’unione tra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e difenderla da quei tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che in realtà la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale”. È indubbio che l’esistenza dell’uomo – nel modo di maschio e femmina – è ordinata alla procreazione, nonché il fatto che la comunità di maschio e femmina e l’apertura alla trasmissione della vita determinano l’essenza di quello che è chiamato matrimonio.