Marx o Mazzini? O, forse, si potrebbe azzardare: Marx contro Mazzini? Come avrebbe potuto Giuseppe Mazzini stare assieme a Karl Marx? Troppo diversa era la visione della vita, troppo lontane erano le prospettive del fondatore della Giovine Italia rispetto a quelle del teorico della concezione materialistica della storia. E pensare che i due intellettuali avrebbero potuto fare un percorso assieme.
Dopo un iniziale interesse di Mazzini ai lavori della Workingmen’s International Association, l’italiano si dissociò pesantemente da Marx, la cui idea di lotta di classe non poteva essere condivisa. In effetti, i due erano agli antipodi. È vero che entrambi si erano formati sui testi di Hegel, erano stati esuli a Londra e avrebbero voluto fornire un impianto sistematico al pensiero filosofico. Ma i parallelismi finiscono qui. Materialista sino al midollo il filosofo di Treviri, profondamente spiritualista l’avvocato della causa nazionale.
Non si amavano: questo è chiaro. In particolare, il pensatore italiano stava molto antipatico a Karl Marx, che scrisse il peggio sull’ispiratore della Repubblica Romana del 1849. E non ci andava giù leggero il fondatore del comunismo quando esprimeva le proprie opinioni sul genovese: non vedeva alcuna utilità nelle battaglie ideali di Giuseppe Mazzini e neppure nelle conquiste di Giuseppe Garibaldi. Per Marx i due erano veri e propri somari. Ammettiamolo: Mazzini, forse, se l’era un po’ cercata, avendo pubblicato una serie di articoli contro la retorica socialista e il credo marxista sul quotidiano People’s Journal: quei saggi avrebbero costituito il corpus dei «Thoughts upon Democracy in Europe», una delle opere che avrebbe destinato Mazzini al Famedio dei grandi di tutti i tempi. I Pensieri sulla democrazia in Europa, scritti a cavallo tra il 1846 e il 1847, erano l’opposto di quanto avrebbero teorizzato Marx ed Engels nel Manifest der Kommunistischen Partei del 1848. La garbata critica e la efficace prosa dei Pensieri gettavano le basi per il contrasto ideale e programmatico tra l’italiano e il tedesco.
Nei suoi scritti, Mazzini esordiva rilevando come l’obiettivo della democrazia dovesse essere «il progresso di tutti per opera di tutti, sotto la guida dei migliori e dei più saggi». Per Marx sarebbe stato necessario superare il concetto stesso di democrazia, nell’auspicio di sostituire la «dittatura della borghesia» con la «dittatura del proletariato», come indicato nella Critica del Programma di Gotha, in cui quel periodo di transizione avrebbe dovuto condurre alla società (universale) senza classi. Mazzini avversava il comunismo, accusandolo di avere come obiettivo quello di schiacciare le aspirazioni dell’uomo e i valori sui quali si sarebbe dovuta basare l’esistenza stessa, quale quello di Patria e quello di famiglia. Per Marx, gli operai non avrebbero dovuto avere Patria e i valori tradizionali sarebbero stati destinati all’oblio, in quanto riconducibili a un approccio borghese inaccettabile.
Come scrive Carlo Sforza nella prefazione a una antologia di scritti mazziniani edita a Milano nel 1924, Mazzini aveva trovato «al di là delle Alpi degli utopisti che, come Buonarroti, non sognavano che di federazione europea, di cosmopolitismo». Eppure, «Mazzini affermò sempre che la vera e unica base di una futura federazione europea doveva essere la ricostituzione integrale delle unità nazionali». Ogni popolo aveva una missione che Dio gli aveva affidato e senza libertà nazionale quella missione non sarebbe stata realizzata. Ma – si sa – a Marx questi discorsi non interessavano. E la causa italiana gli sembrava cosa da poco rispetto ai propri obiettivi. Discutere dell’unità nazionale dello Stivale sarebbe stato di intralcio agli altri progetti. Questa, in sintesi, la storia della contrapposizione tra i due pensatori.
Sarebbe necessario versare fiumi di inchiostro per tracciare la storia dell’insanabile contrasto tra i due, nella convinzione (almeno per me) che la questione sia molto articolata. Ma gli attenti Lettori de La Voce Repubblicana hanno ben chiare le distanze tra il nostro Giuseppe Mazzini e il pensiero radicale di Marx. Poi, però, troviamo chi – grazie alle liturgie introdotte dalla rete Internet – riesce a parlare di Mazzini, riducendo la figura del pensatore italiano a ben poco, legittimando la censura nel giudizio più crudo espresso da Marx. In un breve, anzi brevissimo, video pubblicato in rete su Instagram, il noto giornalista Giorgio Dell’Arti parla dell’esule genovese. Anzi, sarebbe più corretto dire che l’autore catanese mette insieme alcune parole sul Profeta dell’unità nazionale, affermando di non riconoscergli lo status che la storia gli ha attribuito, sino a negargli il ruolo di Padre della Patria. Il tutto senza spiegarcene le ragioni. Dell’Arti dice di non avere simpatia per il personaggio (anche in questo caso senza spiegarne il motivo). E, per concludere, il giornalista afferma di non essere lontano dall’opinione di Marx su Mazzini, ricordando che il pensatore tedesco considerava il motore del Risorgimento italiano un «cretino» (giudizio – questo – ampiamente documentato).
Dell’Arti, però, non spiega il motivo della sua insofferenza per Mazzini. E, nelle proprie parole, il fondatore del supplemento settimanale Il Venerdì di Repubblica fa trapelare tutto il suo disprezzo per l’Apostolo dell’Unità nazionale. A questo punto, la domanda sorge spontanea. Il giudizio storico si esprime sulla base delle antipatie? Grazie alla rete sì, evidentemente. Del resto, si sa che i social media funzionano se le cose vengono riportate in maniera sintetica e senza troppi fronzoli. Pur avendo spesso modo di apprezzare le capacità di Dell’Arti, qui mi trovo spiazzato, dato che le poche battute del giornalista imprimono alle sue parole il sapore di una provocazione di cui non avevamo bisogno.
Non è cosa che mi farà passare il sonno, ma mi sarebbe piaciuto se Giorgio Dell’Arti avesse fondato la propria affermazione su qualche elemento. Così siamo di fronte a una ingiustificata offesa. Comunque, ho trovato anche qualcosa di peggio (sempre in rete). Nel sito «Nonciclopedia» questa è la definizione del pensatore genovese: «Giuseppe Mazzini è una famosa scuola media statale di Roma, nonché un patriota e politico italiano, che dalla scuola media ha preso il nome. È stato un pericoloso latitante, ricercato per lunghi anni dalla polizia dell’epoca con l’accusa di essere un sovversivo, un rivoluzionario e una testa di (…)». Ovviamente, l’intento è ironico, anche Johann Paul Friedrich Richter ricordava che «l’ironia e l’intelligenza sono sorelle»… E questa è (comunque) la straordinaria conferma del fatto che in quel fantastico frullatore di idee che è la rete ciascuno può dire quello che vuole. La speranza è solo che la capacità critica accompagni chi lo ascolta.
P.S. Dopo aver consultato la parte iniziale della pagina dedicata a Mazzini nel portale sopra citato, leggo che l’estensore del profilo scrive anche: «prima di conoscere Giuseppe Mazzini, i fratelli Bandiera si esibivano con le loro sorelle (le sorelle Bandiera) sui palcoscenici del Granducato di Gazzo Veronese imitando versi di animali in calore». Forse a qualcuno farà sorridere. A me no. Ma, probabilmente, sono di gusti un po’ difficili.
FotoKarl Marx Monument | Dirk Liesch | CC BY 4.0