Tra le componenti strategiche, divenute ormai centrali nei settori dell’energia rinnovabile, dall’automotive, alla domotica ma, più in generale in tutte le filiere industriali coinvolte nel processo di transizione ecologica, ci sono gli accumulatori di energia, più comunemente noti come “batterie”. La loro produzione è strategica soprattutto in questo particolare momento storico che vede una crisi delle supply chains globali, iniziata con la pandemia e proseguita con il conflitto russo-ucraino ancora in corso.
Si sta infatti registrando uno spostamento delle linee di produzione e fornitura mondiali, dall’Asia verso il c.d. “Occidente collettivo”, secondo la nota definizione putiniana; un fenomeno che, a seconda dei punti di vista, prende il nome di re-shoring, near-shoring o friend-shoring: tutti termini indicativi di una ridefinizione, su ampia scala, delle catene del valore globale che si stanno gradatamente spostando verso paesi non ostili all’Occidente e meno turbolenti dal punto di vista geopolitico.
In tale quadro si sta assistendo ad un fiorire di impianti di enormi dimensioni, le c.d. giga-factory, in grado di sfornare gran parte della componentistica necessaria alla nuova green economy; l’Europa infatti, se si esclude la Cina, è diventata la regione del pianeta nella quale la produzione delle batterie a ioni di litio sta avendo la crescita più rapida, grazie anche alla spinta impressa dalle grandi case automobilistiche del nostro continente. Ma le giga factory, proprio per via del loro gigantismo, presentano alcuni problemi di impatto ambientale sui territori nei quali operano: primo tra tutti il problema delle risorse idriche, oltre a quello del consumo di suolo.
Tali mega-impianti, infatti, hanno bisogno di elevate quantità di acqua e non sempre i territori possono fornirle, se non rischiando carenze idriche per la cittadinanza e per l’agricoltura locale, oltre ad eventuali problemi di inquinamento delle falde acquifere nel sottosuolo. Ne è dimostrazione plastica la situazione che sta vivendo la giga factory di Tesla a Grünheide, alle porte di Berlino, trascinata in tribunale da due associazioni ambientaliste per gli eccessivi prelievi di acqua connessa alle esigenze produttive dell’impianto.
La sostenibilità ambientale degli impianti di produzione di batterie, utilizzate principalmente per le auto elettriche, sta pertanto diventando un tema da non sottovalutare, sia per i governi centrali che per gli enti territoriali dei paesi candidati ad ospitarli. Una possibile soluzione alternativa potrebbe essere quella di investire in impianti più piccoli e con specifiche caratteristiche premianti: in grado di dar luogo cioè ad una produzione decentralizzata, ma integrata verticalmente, il che consentirebbe da un lato di collocarsi in prossimità dei mercati di sbocco e dall’altro di accorciare la filiera produttiva, risolvendosi pertanto tutto ciò in un minor impatto ambientale grazie a soluzioni logistiche più razionali ed efficienti.
È proprio ciò che avverrà nella Regione Lazio, dove la ReneSys Energy Italia, controllata da Widech Spa, si appresta a costruire il primo impianto verticalmente integrato per la produzione di celle e moduli per batterie agli ioni di litio di ultima generazione. Si tratta di un progetto innovativo che vedrà la realizzazione di ulteriori tre impianti nel centro e sud Italia, nei prossimi tre anni, in collaborazione con enti istituzionali locali e nella cornice del PNRR, anche allo scopo di valorizzare le aree industriali dismesse del nostro Paese, senza ulteriore consumo di territorio. L’auspicio è quello di poter in tal modo cogliere le opportunità offerta dalle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per favorire la transizione verde nel nostro Paese ed in Europa, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per la riduzione delle emissioni di Co2.
Foto di Smnt – Opera propria | CC BY-SA 4.0