«Sono molti i libri che si occupano di amicizia, ma non sono molti quelli che guardano alla amicizia come a una possibile dimensione di una psichiatria che non abbia paura di confrontarsi con tematiche lontane da quelle cliniche». Così leggiamo nelle battute iniziali dell’ultimo libro di Eugenio Borgna (Sull’amicizia, Cortina, Milano 2022, pp. 109), psichiatra dalla lunga esperienza clinica, il quale, nel suo lavoro di scrittura che porta avanti ormai da diversi anni, ha sempre mitigato le asperità della disciplina scientifica di sua competenza prestando ascolto alle voci provenienti dalla poesia, dalla letteratura e dalla filosofia. In tal senso, il libro si apre nel nome di Simone Weil, alla quale dobbiamo alcune definizioni dell’amicizia folgoranti, che ne hanno messo in risalto la natura arcana e insondabile, mistica e luminosa. Come quando la definisce, ad esempio, pari a un «miracolo», cosa che la rende simile alla bellezza, o come quando afferma che essa, per essere veramente meritata, richiede che noi impariamo, prima di tutto, a essere soli. A esserlo serenamente e gioiosamente.
Borgna parla così dell’amicizia come di quella condizione che, potendosi stabilire fra persone vicine o lontane, si nutre tanto di presenza quanto di assenza, tanto di un «dialogo nel silenzio» quanto di un «dialogo nella parola», o che, quando intercorre fra chi cura e chi è curato, è una vera e propria zattera di salvezza per il secondo, visto che quest’ultimo, salendo su di essa, può attendersi che si diradino le minacciose nubi che gravano sulla notte oscura della sua anima. Ogni autentica amicizia si offre perciò sempre come una fonte segreta di «inesauribile reciprocità», così che, confidando nella persona amica, noi riusciamo a discernere con esattezza ciò che è essenziale da ciò che non lo è, cosa che ci aiuta a vivere non solo nel presente, ma ad aprirci anche al futuro, verso un orizzonte che ci fa sperare che non ci mancherà mai una parola di condivisione e di sostegno o che la nostra ansia e la nostra sofferenza si scioglieranno e verranno finalmente meno.
Passando a svolgere alcune considerazioni sulla «fenomenologia delle amicizie femminili», ritenute «più nutrite di interiorità», «più tenaci» e più «radicate nella memoria» di quelle maschili, Borgna passa poi a dare la parola a due poetesse, Antonia Pozzi, autrice di parole bellissime che testimoniano della «fragile e dolorosa bellezza» che risplendono nell’amicizia adolescenziale femminile, e Ingeborg Bachmann, la quale riconosce alla donna una disposizione al sacrificio tale che la rende capace di prestazioni più generose e più altruiste di quelle maschili. E quale esempio elevato di un’amicizia fra un uomo e una donna vengono scelti, ancora una volta, due poeti, fra i massimi del Novecento: Nelly Sachs e Paul Celan, vittime entrambi della persecuzione antisemita. Ebbene, l’una e l’altro si scambiano, fra loro, delle lettere così strazianti che, in esse, l’angoscia e la sofferenza si spingono fino alla soglia estrema del delirio: lettere che, pur rispecchiando due anime lacerate dal dolore, sono tuttavia rischiarate da una luminosissima amicizia, indice di una loro profonda comunione nel segno del destino. Amicizia che, se anche salva la prima dall’abisso della morte volontaria, non impedisce però al secondo di consegnarsi, psichicamente stremato, a esso.
Seguono alcune riflessioni sul sorriso e sulla carezza, viste come due gesti nel cui segno un’amicizia può nascere, rianimarsi o anche rinascere dopo un’interruzione. Tra l’altro sono proprio questi due, per Borgna, i modi più indicati, rispetto alla parola, per stabile un primo rassicurante contatto in una relazione di cura. Ed è proprio passando al tema dell’amicizia come cura che si avvia al suo termine il libro, il quale si chiude invocando il bisogno di una «psichiatria della amicizia», la sola che, facendo proprie le «ragioni del cuore», è capace di scrutare in un’anima l’ansia e i timori che la devastano, la malinconia e la lacerazione che la divorano. Ne discende che un paziente, uomo o donna che sia, spesso, riesce a resistere al «fascino stregato della morte» soltanto a una condizione: se scorge in chi lo cura una persona amica, vicina al suo dolore e disposta a farsene carico e a condividerlo. «Solo se siamo inclini a rivivere la esperienze vissute degli altri, le loro ferite e la loro disperazione, le loro attese e le loro speranze, le loro disillusioni e le loro nostalgie, faremo una psichiatria umana e gentile».
Infine, non mancano, ovviamente, nel libro, riflessioni legate anche alla nostra più stretta attualità: in riferimento tanto alla fase acuta della pandemia, la quale ha rigenerato, in noi, un’attitudine all’ascolto e alla condivisione, quanto alla sciagura della guerra in corso e alle minacce nucleari che, davanti a noi, si profilano, da cui ci si salva solo se, facendo ricorso all’aiuto reciproco, saremo capaci proprio di amicizia e di umana solidarietà.
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