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Le ragioni di esistenza di un quotidiano storicamente antifascista

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
27 Agosto 2022
in L'editoriale
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La voce repubblicana fondata nel 1921 da Giovanni Conte non ha potuto festeggiare l’anno scorso il suo centenario perché venne chiusa nel 1925 dal governo Mussolini. Il torto, o forse il merito di questo giornale, fu di accusare nel 1924 il quadrumviro Italo Balbo di essere stato responsabile della morte di Don Minzoni, aggredito dagli squadristi ferraresi. Ne venne fuori una sfida alla sciabola fra Balbo e Pacciardi che si risolse con Pacciardi costretto ad una fuga rocambolesca, pena l’arresto ed il confino. Bisogna essere giusti con Balbo, ancora iscritto al partito repubblicano italiano quando prese la tessera del fascio. Egli si mostrò uno dei peggiori ras del fascismo, ma lo era convinto che davanti alla minaccia bolscevica, la borghesia italiana non fosse in grado di difendersi da sola. Visse questo delirio per più di dieci anni. Conquistata Addis Abeba consigliò Mussolini di ripristinare libere elezioni, per fondare il regime sul consenso democratico e da qui iniziarono i suoi dissapori con il Duce. Davanti all’intesa con la Germania si arrivò allo scontro. Balbo faceva parte del partito antitedesco che includeva Grandi e a seconda dei casi, Ciano, fino a raggiungere casa Savoia. Questo partito per quanto amplio era debolissimo. Tutti coloro che ne facevano parte si detestavano e disprezzavano cordialmente. Poi ancora ci sarebbe da capire come mai la contraerea italiana che sparava spesso a vuoto, tirò giù proprio il trimotore di Balbo, ma pazienza. Per quanto antitedesco, assolutamente filosemita, Balbo resta una personalità politica del fascismo e nei suoi riguardi non abbiamo mai avuto e mai avremo espressioni di solidarietà.

Del partito antitedesco del fascismo faceva parte a suo modo anche Giovanni Gentile. Personalità fra le più in vista in tutta Europa per ragioni culturali, Gentile aveva sovrastato Benedetto Croce prima dell’avvento del fascismo ed influenzato in Italia una intera generazione di antifascisti, da Solari, a Gobetti, a Gramsci. Poi da ministro manipolò l’interpretazione della storia italiana per farla identificare con la figura del duce. Si tratta di un delitto grave. In compenso Gentile protesse, per quello che poteva, antifascisti ed ebrei grazie al ruolo esercitato. La sua adesione alla Repubblica sociale fu dovuta probabilmente solo al fatto che il figlio venne deportato in Germania e minacciato dalle ss. In ogni caso Gentile venne sparato da un commando comunista nel 1944, scelta che ebbe un sapore intimidatorio, mai l’ambiente della cultura italiana si fosse schierato dalla parte sbagliata.  Gentile fu presto dimenticato nelle università, ma il problema della cultura fascista rimase. Per decenni abbiamo continuato a studiare la filosofia di Heidegger che era un convinto nazista, imbonitore di Hitler, denunciatore di ebrei, affatto privo delle concessioni al pensiero liberale di Gentile, ma protetto per ragioni personali da Jasper e da Anna Arendt.

A conti fatti, se si rivede la storia del fascismo ci accorgiamo che il partito filotedesco in Italia aveva solo due esponenti, Farinacci e Evola, più Giovanni Preziosi, figura nel suo complesso di scarso rilievo. Evola divenne famoso e se ne lamentava per il suo libro sulla razza, scritto in occasione delle leggi razziali. Egli contestava il razzismo biologico tedesco pretendendone una collocazione spirituale, non accidentale. Mussolini fu forse affascinato da Evola ma si convinse, principalmente grazie alla chiesa cattolica, che una tale posizione sarebbe stata difficile da gestire sul piano del nazionalismo italiano. Con Evola si rischiava di porre i necessari requisiti spirituali nella sola razza ariana, spaccando l’intera comunità cristiana. Per cui per quanto Evola fosse apprezzato da Himmler, di cui era amico personale e da un altro assassino come Codreanu, venne abbandonato dal fascismo ufficiale. Così Evola entrò in una specie di limbo grazie al quale, venne assolto nel processo contro di lui a fascismo caduto.

Oltre a spiritualisti di ogni tipo, la filosofia di Evola ha trovato un grande estimatore nel russo Dugin che gli ha dedicato una delle sue opere. La ragione di questa ammirazione del nazibolscevico Dugin nei confronti di Evola è la custodia del sentimento anti occidentale ed antidemocratico preservato da un’epoca all’altra, dall’Italia e dalla Germania di Mussolini ed Hitler, alla Russia di Putin. Si tratta della superiorità del sangue e del suolo, nei confronti del capitalismo.

A questo punto, che Evola fosse antisemita o meno, questione abbastanza ridicola viste le sue frequentazioni, o che sapesse o non sapesse dei campi di sterminio, è completamente insulso. Ernst Nolte, nel suo “Il fascismo nella sua epoca”, è convinto che solo Hitler sapesse, di tutta l’élite nazista, dei campi di sterminio e comunque che il popolo tedesco era rimasto all’idea di dover trasferire gli ebrei in Madagascar. Ciononostante, i tedeschi ebbero otto milioni di morti e certo non tutti militari, se si pensa al bombardamento alleato su Dresda. L’Italia, dove pure il fascismo è nato, patì solo mezzo milione di vittime e si salvò persino uno come Evola. La Germania ruppe con il nazismo più rapidamente e necessariamente di quanto fece l’Italia che ancora negli anni 50 omaggiava la salma di Graziani ai suoi funerali con un concorso di folla.  

Oggi illustri intellettuali liberali, Galli della Loggia, equiparano la violenza fascista a quella comunista. E’ vero, la violenza del fascismo e del comunismo è la stessa, ma furono gli anglo americani a volere radicalizzare la violenza contro il fascismo per annientarlo. I comunisti pensarono invece di reclutarlo, soprattutto in Italia. Così il fascismo è continuato a circolare più o meno tranquillamente. Giornalisti, professori, imprenditori, impiegati che lo avevano sostenuto, cambiarono semplicemente partito.  Sarà un caso che oggi uno che reca la fiamma della bara del duce nel simbolo, sembra convinto di vincere le elezioni.

foto Fondazione Enrico Mattei

Tags: evolaGalli Della Loggia
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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