L’impiego dell’AI e degli algoritmi predittivi nell’ambito giudiziario non sembra più essere una prospettiva fantascientifica, ma anzi sempre di più essa si impone come uno strumento capace di plasmare un futuro che cammina sempre di più già nel presente. Per tale motivazione è fondamentale per governare il cambiamento e non esserne vittima indagare le conseguenze dell’impatto di queste nuove tecnologie nel diritto, nei processi penali, nella conformazione e ridefinizione dei pubblici poteri. Temi che sono stati meritoriamente rilanciati dall’associazione Italia Stato di Diritto con il suo ultimo evento dal titolo “Intelligenza artificiale e giustizia penale. Alla ricerca di un equilibrio tra sicurezza, efficienza e libertà”, svoltosi il 23 ottobre a Roma presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro del Senato. L’evento organizzato dal presidente Guido Camera si è articolato su due panel che hanno affrontato gli sviluppi della “polizia predittiva” e l’impatto dell’AI sul processo penale, sul ruolo delle sue componenti e sulla giustizia. Durante l’evento sono intervenuti tra gli altri, il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, il senatore del Partito Democratico Alfredo Bazoli e il presidente emerito della Cassazione, Giovanni Canzio. Per approfondire gli scenari, gli esiti e gli spunti emersi in questo confronto sul tema della “giustizia predittiva”, abbiamo intervistato il presidente Avvocato Guido Camera.
– Avvocato Camera, quali sono le sfide che gli algoritmi predittivi e l’AI pongono alla giustizia penale e al diritto?
A mio avviso si tratta di strumenti tecnologici formidabili che possono agevolare le attività della magistratura, della polizia e del mondo forense, accorciando i tempi della giustizia e migliorandone le possibilità operative, ma che allo stesso tempo pongono sfide etiche, sociali e culturali che non vanno sottovalutate. Infatti, nonostante in molti ordinamenti degli Stati Uniti, ad esempio, vengano spesso utilizzate l’AI e gli algoritmi di machine learning nelle attività processuali e investigative, ottenendo anche numerosi vantaggi, non si possono sottovalutare le criticità ed i rischi che derivano da questi strumenti, sia a livello costituzionale che sul piano della libertà e della sicurezza. Per tale motivazione va utilizzato un approccio responsabile e fondato sulla trasparenza nell’utilizzo di tali innovazioni. Stando soprattutto attenti a ipotesi sostitutive dell’attività umana. Credo, infatti, sia assolutamente impensabile e inconciliabile con la Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’idea che l’intelligenza artificiale o queste nuove forme di machine learning, possano sostituire la componente umana, nella figura del giudice o in quella delle altre componenti del processo, a maggior ragione in quello penale. Però allo stesso tempo si rischia attraverso il potere e le quantità di informazioni utilizzate da queste tecnologie, di sbilanciare gli equilibri tra le parti nel processo penale e soprattutto di venire meno in nome di una certa idea di efficienza delle proprie garanzie costituzionali.
– Quali saranno allora le conseguenze dell’uso di queste nuove tecnologie sul processo penale?
Dipende sempre dall’utilizzo che se ne vuole fare. Se la politica riuscirà a governare lo strumento secondo delle direttrici pienamente in linea con il messaggio costituzionale, non credo si possa parlare solo di gravi rischi, ma soprattutto di importanti prospettive. Ma anche in questo caso bisognerà rafforzare molto, anche culturalmente, l’importanza della presunzione d’innocenza nel processo penale, quella del giudizio di causalità individuale umana e non affidarsi ai giudizi di correlazione multifattoriale (definiti secondo indici di responsabilità probabilistici e non secondo la regola del ragionevole dubbio…). Questi moniti sono fondamentali per evitare che ci sia da una parte una automazione del diritto e dall’altra che si creino delle prevaricazioni. In questo contesto è molto importante il ruolo della politica per ricondurre l’uso dell’AI nel sentiero dei dettami costituzionali e non in un uso non regolato nel processo penale, come è stato fatto invece per l’utilizzo dei virus Trojan, in cui si creano delle asimmetrie tra le parti. Un discorso che può valere, per fare un esempio concreto, anche con le nuove prove prodotte con l’uso dell’intelligenza artificiale e il tema della loro ammissibilità. Bisogna quindi ripartire dalla Costituzione, da una visione che tutela le garanzie dei cittadini, osservando con prudenza i possibili usi di queste tecnologie per evitare distorsioni strumentali o il rilancio di un certo populismo giuridico alimentato dalle sirene di una polizia ed una giustizia più efficace e efficiente grazie agli strumenti predittivi.
– Di fronte a queste sfide ed ad una possibile eccessiva concentrazione da parte del pubblico ministero, come può cambiare il ruolo della disciplina forense?
L’avvocato, di fronte alle possibilità della transizione digitale, non deve impigrirsi o rinunciare al suo senso di responsabilità grazie all’ausilio degli strumenti tecnologici, ma anzi deve rafforzarlo (un discorso che vale anche per la magistratura), considerando l’AI uno strumento integrativo e collaborativo della sua attività, ma non sostitutivo. Anche perché non dimentichiamo che l’avvocato ha la sua forza nella capacità persuasiva, dialettica, quindi nelle sue prerogative squisitamente umane. Non bisogna quindi considerare questo strumento davvero sostitutivo, e non bisogna delegare le proprie responsabilità di professionisti alla tecnologia, ma anzi l’uso di tali mezzi deve essere accompagnato da una maggiore responsabilizzazione anche culturale.
– Come si può trovare un equilibrio tra libertà, sicurezza e efficienza di fronte alle possibilità della giustizia predittiva?
Prima di tutto con una piena consapevolezza dei limiti, delle possibilità e dei pericoli di questi delle tecnologie predittive e dell’AI. Bisogna fare un grande lavoro culturale perché oggi troppo spesso sottovalutiamo l’impatto di innovazioni che rischiano di travolgere un sistema rimasto ancora troppo indietro rispetto ai cambiamenti delle nuove tecnologie. Pensiamo solamente alle difficoltà in cui incorre il processo telematico… Però soprattutto bisogna ritornare ai grandi valori, o metavalori, su cui vogliamo definire la nostra società e civiltà. Se vogliamo governare il cambiamento dobbiamo capire se vogliamo vivere in una società umanistica, liberaldemocratica e in linea con i nostri principi costituzionali, oppure in una società automatizzata, fondata sull’efficienza e sulla eterodirezione della propria esistenza in nome della funzionalità. Io credo che noi se vogliamo continuare a difendere questo primo modello, umanistico e liberaldemocratico, che è quello principale della nostra civiltà, dobbiamo affrontare sia culturalmente che politicamente le sfide che ci pone la transizione digitale.
– E come può, in questo scenario, la PA avviare un nuovo e-goverment?
Attraverso una seria diagnosi delle problematiche pubbliche e delle possibilità di innovazione nell’ambito della Pubblica Amministrazione. La PA deve saper definire una linea di continuità in cui i nostri valori costituzionali non siano subalterni alle logiche dell’efficienza e dell’automazione, ma sappiano integrare lo sviluppo tecnico in un comune disegno di ridefinizione delle nostre burocrazie in modo da renderle capaci di governare il cambiamento. In questa ridefinizione del ruolo della PA avrà un ruolo centrale il rilancio di una più forte sinergia tra pubblico e privata. Da sempre, infatti, credo che la distanza tra pubblico e privato deve essere accorciata, nel principale interesse del Paese.