Per i dieci anni del pontificato di Giovanni Bergoglio, il tg1 ha dedicato sette minuti dell’edizione di domenica sera delle venti e poi uno speciale nella mezza serata, e questo ce lo siamo risparmiati. In compenso abbiamo ascoltato con molta attenzione Monsignor Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, ospite in collegamento, che ha parlato per 4 minuti contati ininterrottamente. Una simile celebrazione non la si vedeva dai tempi del governo Conte, quando il presidente del Consiglio veniva presentato come il verbo incarnato. Sotto il profilo dell’edificazione spirituale, meglio un pontefice autentico, che nessuno può permettersi di contraddire, e per una sola serata domenicale, piuttosto che il capo di un governo contraddittorio rispetto al mandato elettorale, impostoci un anno intero.
Questi sette minuti, più i quattro scarsi di apertura sulla strage di Cutro, propedeutici al messaggio del papa in favore degli ultimi, no alla “globalizzazione dell’indifferenza”, sono davvero poca cosa davanti all’eternità. Eppure sono stati ben sfruttati per rivolgere un atto d’accusa contro due governi della Repubblica, quello attuale, che non ha saputo impedire il disastro in mare, e quello di Conte, che ha solo illuso di proteggerci dalla pandemia. Due accuse che rendono la Chiesa cattolica molto popolare. Il Tg1 ha evocato un autentico magistero morale attraverso cui giudicare le politiche dello Stato italiano. Al di là del merito, è una scelta rischiosa. Al posto della consueta dialettica che si esprime nel corso del telegiornali fra le parti in causa, si stabilisce un’autorità terza, insindacabile e sovrana.
Ora si potrebbe ritenere che in fondo si è trattato di due aspetti circoscritti della vita dello Stato italiano e che bene si fa a ripercorrere. Le misure del governo Conte che si sono rivelate inutili se non dannose, e le tragedie del mare che bisogna far finire. Il presidente della Cei avrebbe solo espresso dei buoni propositi. Il problema è che il Tg1 non ha dato rilevanza alla sola autentica notizia che riguardava ieri lo Stato del Vaticano, in quanto le celebrazioni del pontificato non dovrebbero interessare il telegiornale di un altro Stato se non come nota di folclore. Mentre non è affatto folcloristica la rottura dei rapporti diplomatici fra Nicaragua e Santa sede, avvenuta dopo che il pontefice ha accusato il regime di Ortega di assomigliare ad una dittatura “hitleriana”. Il Nicaragua non ha invaso nessuno Stato confinante e nemmeno bombarda civili nelle loro case, ma ha proibito la via Crucis e perseguitato un vescovo cattolico. La rottura delle relazioni diplomatiche fra Nicaragua e Vaticano pure dovrebbe avere un certo risalto, ad esempio, il Vaticano non ha ritenuto di interrompere i rapporti diplomatici con la Russia. Anzi il pontefice giudica gli interessi sull’Ucraina imperiali, perché la guerra non smette mai di fare affari e ovviamente “l’impero” non è solo quello della Russia. L’Ucraina sarebbe vittima di interessi russi ed americani, questa la posizione della Chiesa, rispettabilissima, ci mancherebbe ma che di fatto comporta un’altra critica a due governi italiani, quello Draghi e di nuovo quello attuale.
Il consiglio d’amministrazione della Rai farebbe bene ad iniziare a porsi qualche domanda. Aprire il primo telegiornale di Stato con un servizio celebrativo del pontificato di Bergoglio ha offerto il destro ad una reprimenda delle politiche intraprese dai governi italiani, benissimo. Se nelle prossime settimane continueremo a dare risalto alla posizione del pontefice sulla guerra in Ucraina, sarà chiaro che per il Vaticano l’Italia sbaglia anche in questa circostanza. C’è una sola volta che il Vaticano sostiene la politica del governo italiano? Per quale ragione allora continuare ad insistere su cosa ci dice il papa? L’abbiamo capito. Se ogni momento ci si ritorna sopra, tanto vale far corrispondere la nostra politica a quella della Santa Sede, tanto vale tornare al papa Re. Invece di opporci alle pretese di Mosca, finiamo con l’opporci a quelle di Managua. Più la Chiesa è libera e concordata, più lo Stato diventa servo.
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