Maximilien Robespierre era uso condurre una vita familiare all’interno di casa Duplay dove consumava alla tavola dei suoi ospiti o nella sua stanza, con le sue carte, tutti i pasti che non era costretto a saltare causa lo zelo del servitore della Repubblica. In inverno come in estate, non lasciò mai quella dimora dal giorno in cui vi aveva trovato rifugio dal colpo di Stato lafayettista. Robespierre detestava intimamente, al limite dell’ira e a costo della salute, tutti coloro che, fossero della Gironda come della Montagna, frequentavano i ristoranti di lusso della capitale. In particolare non poteva nemmeno vedere dipinti i locali del Palais Royal dove ci si ritrovava per banchettare con donne di facili costumi. Questa sua avversione influiva inevitabilmente sulla sua oratoria, per cui denunciava di scorgere i “tacchi rossi” dell’aristocrazia sotto i “berretti rossi” dei giacobini, ed arrivò persino a fare arrestare il ristoratore preferito dell’eminente Carnot, solo ed esclusivamente per far al suo collega di Comitato un dispetto.
Non vi sono dubbi che alla base del suo disprezzo per Vergniaud e Danton pesasse questa loro ostentazione della ricchezza. Robespierre la riteneva incompatibile con la missione politica che il popolo aveva a tutti loro affidato. Ciononostante non troverete un qualche rimprovero, nemmeno al duca di Orleans, per i suoi costumi mondani e meno che mai ad altri. Né i suoi scritti e tantomeno la sua bocca, disperdono considerazioni personali. Robespierre ed era Robespierre, mai si permise nelle discussioni più accese di accusare qualcuno per la sua condotta o le sue abitudini private, anzi difese Danton da Hebert a riguardo. Robespierre ti accusava solo ed esclusivamente davanti a quella che riteneva una prova di voler causare un danno allo Stato. Altrimenti, a costo di fabbricarne una inesistente, non si sarebbe sentito un autentico liberale.