Oggi molte vecchie categorie con cui abbiamo guardato il mondo non funzionano più. Perché il mondo cambia, le categorie restano, e allora il rischio è quello di usare roba vecchia, che non ti aiuta a capire la complessità del reale. Lo stesso Axel Honneth, che pure viene dalla Scuola di Francoforte, ha radicalmente preso le distanze dal suo primo maestro, Habermas, e da certe letture marxiste. La categoria del Riconoscimento, ha la freschezza della novità, è qualcosa che non appartiene a una classe sociale specifica, ma all’uomo. E solo dall’uomo bisogna ripartire per essere sicuri di non costruire sovrastrutture estrinseche.
In sintesi si tratta di questo. La mia dignità (non necessariamente la mia felicità) dipende dall’altro. Non dal singolo altro, come nell’hegeliana dialettica servo-padrone da cui il termine è mutuato, ma da tutta la rete di rapporti in cui io sono immerso. Solo se l’altro mi riconosce io posso godere del Riconoscimento. Se mi riconosce come persona, se riconosce il mio talento, e così via. Anche l’amicizia o l’amore sono forme, semplificate, di Riconoscimento. Qui si gioca il tema della libertà. Io sono libero di autodeterminarmi, e va bene, ma nell’amicizia incontro un qualcosa che a guardarlo da fuori diremmo un ostacolo, ma che in verità è qualcos’altro, un sacrificio apparente di libertà che mi fa guadagnare in termini di valore del rapporto. Aiutare un amico in difficoltà limita la mia libertà, per esempio può capitare di dover rinunciare a una vacanza per stare con lui, o di dovergli fare un prestito, ma ne guadagna l’autenticità del rapporto.
Il Riconoscimento viene negato sostanzialmente in tre modi. (1) «Il maltrattamento fisico di un soggetto rappresenta un tipo di sfregio che lede durevolmente la sua fiducia nella capacità di coordinare autonomamente il proprio corpo; da ciò consegue anche, insieme ad una specie di vergogna sociale, una perdita di fiducia in se stesso e nell’ambiente, che penetra fino al livello fisico del rapporto pratico con altri soggetti». (2) «Per “diritti” si intendono quelle pretese individuali che una persona può legittimamente far conto di poter vedere socialmente soddisfatte in quanto, come membro a pieno titolo di una comunità, partecipa con diritto pari agli altri all’ordinamento istituzionale della stessa. Se alla persona vengono sistematicamente negati determinati diritti del genere, è implicita la conseguenza che non le viene attribuita una capacità morale di intendere e volere pari a quella degli altri membri». Così io non posseggo più il sentimento di possedere a pieno titolo lo status di partner della comunità. (3) Infine l’ “onore” o la dignità, ovvero, in termini moderni, lo “status” di una persona, che è da intendersi come “il grado di considerazione sociale che, nell’orizzonte culturale di una società, attiene al modo di autorganizzazione che una persona persegue. Ma se la gerarchia sociale dei valori è tale da svilire singole forme di vita e modi di pensare a forme ‘inferiori’ o ‘difettose’, toglie ai soggetti in questione ogni possibilità di ascrivere un valore sociale alle proprie capacità”.
Le condizioni formali dei rapporti di interazione tra i due attori che Honneth chiama l’Ego e l’Alter, cioè quell’ambito in cui gli esseri umani possono essere certi della loro dignità e integrità, sono l’amore, il diritto, la solidarietà. Sembra difficile che una società orientata al capitale, l’hegeliano ‘regno animale dello spirito’, possa lasciare spazio a questo ‘orizzonte astratto di valori etici’. Ma è una sfida che le sensibilità repubblicane debbono raccogliere. Questo non può dirlo la teoria, ma solo, nelle liberal-democrazie, il “futuro, e i conflitti sociali di cui sarà intessuto”.