Olivier Blanchard, uno tra i più noti economisti keynesiani viventi, oltre che già capo economista del F.M.I si è posto in diverse occasioni il quesito se possano sussistere circostanze nelle quali una politica fiscale restrittiva possa supportare la crescita economica; e viceversa se una politica fiscale espansiva possa indurre la diminuzione del PIL. Questo quesito era alla base del suo complesso ed articolato ragionamento che svolse nell’ottobre del 2018 con riferimento ai provvedimenti posti in essere dal governo Conte 1 con la legge di stabilità varata in quell’anno. La maggioranza politica formata da M5S e Lega sosteneva che il pacchetto di provvedimenti in deficit varati dal governo, in quanto etichettato di tipo keynesiano, avrebbe potuto imprimere spinta espansiva; e quindi indurre la crescita del PIL. Blanchard contestò questo assunto con la elaborazione di un pregevole scritto pubblicato sul sito La Voce. Dopo una ampia e complessa analisi del contesto politico nazionale ed europeo, della situazione in essere della congiuntura macroeconomica dell’Italia, nonché delle prospettive complessive sociali del paese, egli concludeva, pur attribuendo al provvedimento un coefficiente moltiplicativo il più ottimistico possibile, che “è molto più probabile che le politiche proposte( dal governo ) abbiano l’effetto contrario”, ipotizzando una crescita negativa e la conseguente diminuzione del PIL.
Al di là della questione specifica che riguardava un fatto contingente, Blanchard ci ha fornito in quell’occasione un modello teorico-empirico da utilizzare per una efficace valutazione dei provvedimenti di politica economica di volta in volta varati dai governi nazionali. Venendo all’attualità, anche se l’attualità andrebbe retro datata al 2020, la questione che è stata posta già dal marzo 2023 dal governo Meloni e dal ministro Giorgetti, e di recente riproposta, attiene alla valutazione dell’ormai tanto richiamata questione relativa al bonus edilizio 110%. Devo subito chiarire che in quest’occasione il governo (Meloni-Giorgetti-Urso), nella sua polemica violenta, disarticolata ed approssimativa, non sembra abbia fatto tesoro delle metodologie indicate da Blanchard, e dallo stesso utilizzate con efficacia di risultati. Devo dire che la peculiarità che più ha caratterizzato la polemica governativa sul Bonus 110% è stata senza dubbio quella dell’approssimazione della superficialità messa in campo nelle riflessioni dei rappresentanti del governo. Le preoccupazioni maggiori del governo sono sembrate scaturire e concretizzarsi essenzialmente quando si è ritenuto che le ricadute nel tempo del bonus 110% finivano per proiettare vincoli di politica finanziaria nell’attuazione degli obiettivi che la maggioranza voleva porre a base della legge di stabilità 2024; e senza questi effetti di ricaduta non ci sarebbe nemmeno stata la polemica che esponenti del governo hanno via via alimentata ed accentuata. L’atteggiamento irrituale posto in essere dal governo ha determinato una situazione di forte disorientamento e sbigottimento nell’opinione pubblica; peraltro anche a causa di un improvvisato ed estimativo approccio che i mass-media hanno riservato all’argomento. Cerchiamo allora, come step propedeutico, di darne una connotazione più consona e più pertinente; ed utilizziamo a tal fine quanto indicato nel documento elaborato dalla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti: “Con il superbonus 110% e la possibilità di optare per lo sconto sul corrispettivo e la cessione del credito, in alternativa alla detrazione in dichiarazione, i bonus edilizi hanno compiuto un vero e proprio salto di qualità, passando da strumento di politica fiscale per l’emersione del sommerso e per l’incentivazione di specifici interventi a veri e propri strumenti per il sostegno del comparto dell’edilizia e, suo tramite, del sistema economico dell’intero Paese”. In sostanza, quindi, il Super Bonus Edilizio 110% assume un ruolo particolarmente significativo quale approccio congiunturale “anticiclico”, collocabile tra gli interventi di caratura keynesiana; con quanto da tutto ciò ne consegue. Leggendo le inopinate argomentazioni ripetutamente espresse, sembrerebbe che il governo non abbia saputo (per inadeguatezza culturale?), o non abbia voluto (per opportunismo politico?) cogliere la esatta portata del provvedimento; formulando valutazioni del tutto anomale e fuorvianti circa la valutazione economica complessiva del costo DELLO SPECIFICO PROVVEDIMENTO.
Al momento sono disponibili, relativamente al costo indotto dal provvedimento. Alcuni dati ufficiali della ragioneria generale che indicano alla data del 31.12.2022 l’ammontare del valore dell’investimento definito al 110% e contabilizzato in 67,3 MLA (di cui liquidato 48,3 MLD). A questa valutazione va sommata (a legislazione vigente) la cifra di 33,7 MLD, ipotizzata per il completamento dell’intera operazione delle Super Bonus 110%. Sono questi i, numeri inferiori a quelli prospettati dalla premier Meloni. Per comprendere l’ammontare reale a carico del bilancio dello Stato è opportuno riepilogare quanto elaborato dalla fondazione dei dottori commercialisti, analizzando i dati contabili relativi al solo anno 2021. A fronte di una spesa indotta pari a 28,1MLD, il super bonus 110% avrebbe determinato un valore della produzione aggiuntivo pari a 90,5 MLD, (fattore moltiplicativo 3,2) e un valore aggiunto pari a 32,0 MLD. L’effetto fiscale indotto, ovvero le maggiori entrate sarebbero pari a 12,2 MLD, quindi il 43,3% del costo lordo. In sostanza per ogni euro speso dallo Stato per agevolazione fiscale rientrano nelle casse dello Stato 43,3 centesimi. Il costo netto per il bilancio dello Stato per l’anno 2021 graverebbe allora per il 56,7% del totale, e quindi per l’importo netto di 16,0MLD. Ne consegue che l’operazione complessiva del super bonus da imputare al bilancio dello Stato alla fine sarà pari al 56,7% del costo totale lordo. Poiché i maggiori introiti fiscali vengono normalmente realizzati nella fase iniziale della realizzazione di ogni singolo investimento, mentre l’addebito dell’importo del bonus avviene nel quinquennio successivo, il costo netto andrebbe ulteriormente depurato in conseguenza della conseguente attualizzazione degli importi per renderli finanziariamente omogenei. Ma dovremmo convenire che ancora tutto ciò non rende esauriente la effettiva valutazione del costo complessivo. Infatti andrebbero considerati e quantificati gli altri effetti positivi che il superbonus (ricordiamo sempre che trattasi di un intervento di stampo Keynesiano) innesca in diversi comparti economici, che sono stati al momento così enucleati: Variazione incrementale del Pil, differenziale del rapporto debito/Pil, variazione incrementale del gettito fiscale, aumento del valore aggiunto nello specifico settore e quindi sui redditi, sui consumi, sull’occupazione, sugli investimenti; senza tralasciare i risparmi energetici (Gas – energia elettrica), ed i conseguenti effetti sulle emissioni inquinanti di CO2. Su quasi tutte queste voci sono già oggi riscontrabili valori sufficientemente definiti sia in termini monetari che quantitativi, analizzando i Report predisposti dalla fondazione nazionale dei dottori commercialisti, del centro studi Prometeia, dall’Istat, dall’Enea. Non risulta comprensibile il motivo per il quale il governo non ha mai ritenuto opportuno fare riferimento documentale a questi aspetti nel suo singolare approccio alla valutazione delle Super bonus 110%. Mentre ha richiamato ripetutamente il dato relativo al numero (grezzo e non disaggregato nel caso dei condomini) percentuale degli edifici beneficiari. Elemento per nulla significativo in questa fattispecie, ove l’obiettivo essenziale era l’impatto complessivo sulla congiuntura economica dell’Italia, caratterizzata da una accentuata recessione. Motivo per il quale si attivava un provvedimento prettamente economico, di tipo keynesiano; tenendo presente che nel NaDEF si prevedeva per Il 2021 un valore del Pil inferiore di ben 12 punti rispetto al valore poi consuntivato. Come noto, ogni anno le sezioni regionali della Banca d’Italia elaborano un report sulla congiuntura economica di ognuna delle 20 Regioni. Nell’analisi condotta per i due anni 2021-2022, in tutte le regioni il dato costante ed omogeneo indicato per commentare il consistente aumento del rispettivo Pil è stato il significativo apporto degli investimenti realizzati nel comparto dell’edilizia. A conclusione una considerazione peculiare: in meno di un triennio è stato attuato un piano di investimenti di circa 90 MLD (al netto del +10%), e senza consistenti effetti di corruttela. Se tale intervento fosse stato gestito dallo Stato, quale sarebbe stato l’arco temporale di realizzazione? Meglio non pensarci ! Se si conferma che l’obiettivo del provvedimento legislativo era contrastare la congiuntura economica regressiva, allora si dovrebbe concludere che esso (obiettivo) è stato raggiunto”.
foto cco