Per certi versi ha ragione Paolo Crepet. La tecnologia digitale sta divorando la vita vera. I social ci stanno rubando emozioni, stanno invadendo spazi reali, stanno annullando le relazioni, stanno esemplificando il linguaggio, rendendolo primitivo, scarno, essenziale, stanno esaltando gli istinti primordiali, eccitando i nostri istinti. Siamo tutti più cattivi. E soli. Quella dei social è una via breve per rimbecillirsi, aveva detto tempo fa. E dire che c’è qualcuno che parte già avvantaggiato. Eco, del resto, aveva profetizzato: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel». «La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità», aggiunse. Entrambi, Crepet ed Eco, prevedono un momento di rottura e di ritorno. La storia è dialettica, del resto. Il nostro tempo sta vivendo la sua contraddizione, è il momento negativo, e si arriverà, non sappiamo quando e quanto rapidamente, a sintesi, cioè al superamento di questa esperienza negativa, che era però servita per fare andare avanti la cultura dell’umanità. Giusto prevedere le macerie, giusto vederle, giusto lamentarsi per le lodi quotidiane degli eroi del nulla, ma bisogna essere consapevoli che la distruzione è propedeutica ad una nuova costruzione di senso e di valori. E allora: acceleriamo il declino, perché prima si va a sbattere prima si comincia una stagione nuova.
I social, però, sono lo strumento, non il soggetto. In sé non hanno alcun valore, positivo o negativo, educativo o diseducativo. I social sono tecnica e la tecnica è neutra. Lo si diceva anni fa per la carta Kodak quando non esistevano le foto digitali. La pellicola che porti a sviluppare e poi fai stampare, è uno strumento neutro. Dipende da te, dall’uso che ne fai. Ne puoi fare un’opera artistica, oppure documentare attività pedo-pornografiche per la vendita o per futura memoria. Se vedo in giro foto raccapriccianti o illegali me la prendo con te, mica con la Kodak.
Rimproverare alla techne, la degenerazione dello Spirito è una cosa tipica della storia dell’uomo. Lo ha ricordato Maurizio Ferraris rispondendo proprio a Crepet in un articolo su La Stampa. Platone, nel Fedro, ha scritto che la scrittura conferisce un falso sapere, e fa circolare le idee fra persone che non sono preparate a capirle. A Goethe rimproverarono i suicidi provocati dal suo I Dolori del giovane Werther (che era un romanzo basato sul social dell’epoca, cioè la corrispondenza epistolare). Rispose: e quelli che muoiono nelle miniere inglesi? Nel 1771 un medico pavese, ce lo racconta Kant, scrive un libro di un certo pregio scientifico sui danni che l’umanità ha pagato a causa dell’adozione della posizione eretta. Nietzsche se la prese con i giornali, è colpa loro se la cultura di una nazione si abbassa, perché vanno inseguendo un gusto anziché educare a un valore (e dategli torto). Heidegger invece demonizzava le macchine da scrivere, perché avremmo perso l’abitudine a scrivere a mano. Oggi provate a scrivere in corsivo una lettera f maiuscola, o peggio ancora una lettera h: ha ragione Heidegger abbiamo dimenticato come si fa. Popper criticava la televisione, una cattiva maestra in grado di imporre modelli di riferimento e gusti, spingendo ad adeguarsi agli standard di opinione e di comportamento.
Bisogna insomma non perdere di vita i valori dell’uomo, e la cultura umanistica. Solo così si riduce la tecnica a quello che è. Senza una cultura umanistica si rischia di voler ridurre l’uomo a tecnica. Un mondo di macchine senza umani è inconcepibile, è la lezione di Ferraris, mentre un mondo senza macchine è solo molto scomodo.
Foto Macchina Olivellit – Museo della scienza e della tecnologia di Milano | CC BY-SA 4.0