La forma costituzionale delle repubbliche occidentali, da quella statunitense a quella della repubblica di Weimar, definisce innanzitutto lo stato del potere, chi lo emana e come lo si amministra. La costituzione repubblicana più filosofica è quella francese del 1793 che si diffonde in divagazioni sul bene comune e la società, sin dal suo primo articolo e che del resto non sarà mai applicata. La Francia dispone comunque di una dottrina costituzionale piuttosto elaborata che si formula compitamente all’indomani della liberazione nel testo del 1958. L’articolo 1 recita che “la Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Essa assicura l’eguaglianza dinanzi alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di origine, di razza o di religione”. La Costituzione federale tedesca, invece, punta subito a ristabilire l’integrità della dignità dell’uomo considerata “intangibile”. Tanto che “è dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”. Nessuna Costituzione repubblicana occidentale né al suo esordio, né alla sua ripresa viene fondata sul lavoro, questo è proprio solo della Repubblica italiana. Affermazione, quella dell’articolo uno della nostra costituzione, non proprio esattamente chiarissima, perché non esiste un lavoro generico per l’uomo, ne esiste uno specifico, altrimenti il lavoro del generale Bava Beccaris sarebbe stato quello di prendere a cannonate i lavoratori. Tanto è vero che azionisti e repubblicani in sede di Costituente, con gli esponenti del partito liberale, proposero di fondare la Repubblica sulla libertà, non sul lavoro.
Una volta votata la repubblica fondata sul lavoro, anche se non si comprende esattamente cosa questo significasse, per lo meno dovrebbe essere chiaro che al fine del rispetto della forma repubblicana, tutti i cittadini debbano lavorare. Se invece un 8 percentuale della popolazione risulta disoccupato, prima di avere un problema per l’economia del paese, ne abbiamo uno di rispetto della Costituzione. Come fa ad osservarla un disoccupato? Dovrebbe essere lo Stato a trovargli un qualche impiego necessariamente, magari non del genere in cui si riteneva esperto il generale Bava Beccaris. La nostra Costituzione da subito esclude un tot della popolazione, ovvero quella che il lavoro l’ha perso e non lo ritrova, o che proprio nemmeno lo ha mai avuto e cercato. Secondo i dati Istat si tratterebbe di due milioni di individui, e poco male, anche se non sappiamo esattamente come considerare gli inoccupati che dovrebbero essere di più dei disoccupati. Il problema costituzionale autentico è se una Repubblica fondata sul lavoro possa proibire ogni attività lavorativa individuale come è avvenuto durante la pandemia per cui un lavoratore doveva restarsene a casa. Questione che però nessuno ha sentito il dovere di affrontare. L’emergenza travolge il diritto costituzionale, anche se magari ci sarebbe una prassi da osservare. Non a caso, il governo che chiuse il paese per la pandemia nonostante vantasse di aver salvato la popolazione con le sue misure claustro sanitarie, è caduto miseramente in meno di un anno. Poi quando si è andato a votare, sono state premiate le forze che gli si erano opposte.
Ora, il nuovo governo si è regalato il piacere di prendere a schiaffi il sindacato, convocandolo prima ad un tavolo la vigilia del primo maggio e poi dividendolo sul cuneo fiscale. In più è stato eliminato il reddito di cittadinanza, che il sindacato controllava. Sulla bagarre con il sindacato, noi che avevamo suggerito la pace sociale, stendiamo un velo pietoso. Ma sul reddito di cittadinanza il governo ha delle ragioni eccome, proprio sotto il profilo costituzionale. Come faceva una Repubblica fondata sul lavoro a promuovere “un reddito di cittadinanza”? L’unico reddito possibile è quello da lavoro, altrimenti si scardina il principio fondante della Repubblica stessa. Se un cittadino in quanto tale ha diritto ad avere un reddito, indipendentemente dal lavoro, significa far lavorare qualcun altro al suo posto, magari un immigrato. Infatti il reddito di cittadinanza era legato alla prospettiva occupazionale, non fosse che poi si è prolungato senza occupare quasi nessuno, mentre il capo politico del partito che aveva voluto il reddito, sosteneva che di lavorare non c’era più bisogno. Se mai avesse avuto ragione occorreva una riformulazione dell’articolo uno della costituzione. Fino a che quello esiste immutato, si può dare al massimo un sussidio di disoccupazione, o un assegno di povertà. Viste poi le condizioni della disoccupazione e di povertà in Italia, entrambe in aumento, e che l’attuale governo evidentemente non sa nemmeno come impostare, buona festa del lavoro a chi può permettersela.
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