Oggi ad Aqaba, in Giordania, si stanno tenendo incontri ad altissimo livello, tra esponenti della sicurezza israeliana e quelli dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Agli incontri sono presenti, oltre ai rappresentanti del Regno di Giordania, anche quelli di Egitto e Stati Uniti, che hanno fortemente voluto questo abboccamento, per evitare una pericolosa escalation del conflitto. Nelle stesse ore in cui gli organismi di sicurezza si sforzano di trovare un accordo che permetta a Giudea e Samaria (Cisgiordania), di tornare ad essere un posto tranquillo, a Nablus un terrorista palestinese spara contro una macchina ed uccide due israeliani.
Lo scopo è chiaro. Far saltare i colloqui. Far piombare i palestinesi in una spirale di violenza senza via d’uscita. Del resto è ovvio. I gruppi armati palestinesi hanno una unica ragion d’essere, la guerra. Se ad Aqaba, israeliani e palestinesi, ricominciassero a dialogare, buona parte della narrativa antiisraeliana crollerebbe. Crollerebbe la pretesa inavvicinabilità del governo Netanyahu. Crollerebbe la favola dell’espansionismo israeliano. Crollerebbe, soprattutto, la leggenda per cui, con gli israeliani non si può trattare. Non solo Israele ha dimostrato coi fatti che gli stati che hanno realmente voluto la pace l’hanno ottenuta, e l’hanno ottenuta anche con notevoli concessioni territoriali, sebbene quegli stessi stati abbiano prima attaccato e poi perso ogni guerra contro Israele. Il fatto che questo incontro si svolga in Giordania e sia presente l’Egitto, ne è la prova.
Ma soprattutto è proprio questo il momento in cui una lungimirante leadership palestinese dovrebbe cercare la via del compromesso.
Infatti è con un governo di destra come quello Netanyahu che bisognerebbe stilare i primi accordi. Proprio perché è il più a destra che si ricordi, non ci sarebbero radicalismi politici o alternanze di governo, che potrebbero far retrocedere su eventuali concessioni. Tra ieri ed oggi, per l’ennesima volta, in Israele, oltre 100.000 persone sono scese in strada per manifestare contro il governo e contro la riforma della Corte Suprema proposta alla Knesset, a dimostrazione che, quella Israeliana, è una democrazia, viva e scalciante. 100.000 manifestanti, su una popolazione di 7 milioni di ebrei israeliani è, in proporzione, come se in Italia, scendesse in piazza un milione di persone!
Trovare un accordo oggi, ridare forza alla Autorità Nazionale Palestinese, dimostrare che, anche con Netanyahu si può parlare e, in ultimo, sapere che c’è chi, in Israele, vuole continuare a difendere i principi democratici su cui si fonda lo Stato, per trovare un modus vivendi anche con gli arabi, è ciò che più spaventa ogni gruppo armato palestinese.
Ed è, invece, l’obbiettivo che, tutti noi, in Europa, dovremmo aiutare a far perseguire all’ANP. Sostenere l’ANP ed ogni suo tentativo per cercare il dialogo con Israele e boicottare le frange armate come Hamas o PIJ (Palestinian Islamic Jihad), etero dirette da Iran e Siria. Smetterla di avallare rapporti faziosi come quello della Relatrice Francesca Albanese, o come quello di Amnesty International, in cui Israele viene definito “stato di Apartheid” e che si alimentano reciprocamente, smetterla di permettere, che un concetto antisemita come quello del BDS continui a fare proseliti a causa della cattiva informazione. Tornare ad una seria discussione sul vero diritto internazionale violato, quello stabilito dalla Società delle Nazioni dopo la I guerra Mondiale, che le Nazioni Unite avrebbero dovuto garantire fosse attuato e che, invece, proprio le N.U. hanno disatteso con ognuna delle ridicole e ridondanti risoluzioni contro Israele. Tornare a parlare, per gli Arabi di Palestina, di vera autodeterminazione, in un territorio che sia concordato tra nazioni civili e democratiche e non sotto i missili o i razzi. Ma anche di potersi autodeterminare liberamente in Libano, in Siria ed ovunque i loro cugini Arabi, li abbiano tenuti segregati, da oltre 70 anni, in campi profughi dai quali non potevano uscire, né per lavorare, né per darsi un futuro diverso. Un modo per allentare la pressione di quell’irrealizzabile principio per cui tutti i discendenti degli arabi del ’48 dovrebbero rientrare in Palestina ed Israele. Pressione sempre utile a generare violenze.
La pace si fa col nemico e, alle volte, inizia da piccoli risultati.
Foto Gilad Rom | CC BY-NC 2.0