Per me, questo, è sempre stato un principio imprescindibile. Oltre tutto, per noi italiani e repubblicani, la pena di morte ha sempre rappresentato l’odioso marchio di fabbrica di tutte le monarchie, le autocrazie e le dittature. È per questo che sono rimasto profondamente scioccato quando ho letto che un Comitato Ministeriale israeliano ha dato il via libera ad una proposta di legge che intende legalizzare la pena di morte per le persone accusate di terrorismo.
No, non condividerò mai una tale proposta, e nemmeno, semplicemente, un tale atteggiamento mentale. Nell’ebraismo non c’è nulla di più sacro della vita. L’Chaim! Alla vita! È l’augurio che ci si scambia in ogni brindisi, e l’idea che dobbiamo assimilarci a chi esalta il martirio mi fa ribrezzo. Detto questo affinché sia chiaro, nutro una speranza, cioè che questa proposta sia un contrappeso da mettere su uno dei piatti della bilancia. Come ho già avuto modo di dire, dopo tanto tempo e tanto allontanamento reciproco, solo un governo di destra, di estrema destra, come quello Netanyahu, può tornare a fare concessioni ai palestinesi senza che ci sia qualcuno, ancora più a destra, che le boicotti. Ricordiamo tutti che fu proprio il più falco dei falchi, Ariel Sharon, che riuscì a smantellare tutti gli insediamenti ebraici nella striscia di Gaza ed a cedere alla ANP la striscia.
Purtroppo, Hamas, a colpi di kalashnikov, ha esautorato l’Autorità Nazionale Palestinese ed ha preso il potere su tutta la striscia ed a Gaza City, instaurando una teocrazia islamista e trasformando il territorio, ad esclusiva autorità araba, in una spina nel fianco di Israele, con continue infiltrazioni terroristiche e lancio di migliaia di razzi sul territorio israeliano. Oggi, paradossalmente, la situazione è più grave. Il fronte interno arabo-israeliano è maggiormente ostile. Nuovi gruppi armati sono apparsi in Cisgiordania, gruppi meno strutturati e, per questo, più difficili da contrastare. Gli scontri armati si sono fatti più sanguinosi perché questi gruppuscoli hanno maggiore carattere locale, non hanno una seconda o terza linea dove ritirarsi, quindi tendono a combattere in accesi scontri a fuoco dentro i loro villaggi d’origine. Hamas e Jihad Islamico Palestinese hanno aumentato la loro potenza di fuoco, i rifornimenti ed i finanziamenti iraniani hanno consentito di implementare il loro arsenale con droni kamikaze. L’Iran, coi suoi Pasdaran prova, ogni giorno, a piazzare rampe missilistiche sul Golan siriano, mentre Hezbollah, in Libano, ha fatto esperienza nel conflitto Siriano ed ora è pronto a scatenare i suoi veterani ed il suo nuovo arsenale contro lo Stato Ebraico.
A questo si aggiunga la aumentata pressione mediatica, sia in USA, sia in Europa, e la nuova strategia politica basata sull’accusa di Apartheid che dovrebbe costringere Israele ad una soluzione binazionale, anziché a due stati. Soluzione demograficamente impossibile da percorrere perché renderebbe contestualmente gli ebrei minoranza nel loro stato costringendoli a fare la fine dei cristiani maroniti libanesi.
Allora perché sperare in un contrappeso quando queste decisioni così estreme appaiono motivate da un irrigidimento e da una radicalizzazione delle posizioni? Perché mentre tutto appare perduto, Stati Uniti, Giordania ed Egitto sono riusciti a far tornare, ufficialmente, ad un tavolo ANP, OLP e Stato d’Israele. Nel meeting che si è tenuto ad Aqaba è stato redatto un primo documento d’intenti per raggiungere una de-escalation del conflitto.
Sul documento si legge, soprattutto, che: Israele ed ANP torneranno a collaborare nella prevenzione del terrorismo.
La Giordania continuerà a garantire, attraverso il Waqf la tutela dei luoghi santi dell’Islam sul Monte del Tempio. Israele congelerà per i prossimi 6 mesi ogni nuova autorizzazione ad insediamenti ebraici in Giudea e Samaria. Ma, principalmente, si è già fissata una seconda data per verificare l’avanzamento ed i progressi della nuova strategia di collaborazione. La nuova data sarà ad aprile e la riunione si terrà in Egitto. Gli ultimi due attentati, in cui sono morti 4 ragazzi israeliani, proprio durante il summit, dimostrano quanto ogni tentativo di dialogo terrorizzi chi ha fatto, della lotta armata, la sua ragion d’essere.
Hamas ha immediatamente ripreso il lancio di razzi e, stranamente, Israele ha risposto bombardando la striscia su bersagli vuoti, come a dimostrare la sua buona volontà di non minare i colloqui. Ma quegli stessi colloqui, in Israele, potrebbero disturbare gli ambienti più radicali tra quelli che sostengono il governo. Potrebbero portare alla caduta dell’esecutivo, e ad una ulteriore escalation. Ecco dunque il motivo, possibile, per concedere alle frange di governo più a destra, qualcosa per cui sentirsi soddisfatti. Le politiche israeliane con gli arabi sono sempre state dettate dal pragmatismo. Gli accordi di Abramo hanno permesso la normalizzazione con stati arabi che neanche riconoscevano l’esistenza di Israele e, non è escluso, che persino alcuni governi mediorientali, possano vedere di buon occhio un inasprimento del trattamento di quelli che, anche loro, vedono come terroristi, soprattutto di quei gruppi eterodiretti dall’Iran. La proposta, dunque, nonostante le apparenze, può essere strumentale ad un nuovo corso nei rapporti con i vicini arabi, palestinesi e non, e non è detto che verrà mai messa realmente in atto.
Va ricordato che, in linea teorica, l’ordinamento israeliano già contempla la pena di morte ma questa venne applicata esclusivamente nei confronti del criminale nazista Adolf Eichmann dunque la possibilità che questa decisione sia più propagandistica che pratica ha un suo fondamento ed alimenta la speranza. Rimaniamo in attesa dei prossimi sviluppi confidando nella straordinaria maturità e consapevolezza della Democrazia Israeliana che, finora, ha resistito a 74 anni di pressioni e di guerre. Uno stress test a cui non molte altre democrazie avrebbero resistito.