Mi sembra proprio che, come avviene per tutti gli aspetti della vita politica italiana, il confronto sulle questioni e sulla riforma istituzionale si stia sviluppando in assenza di qualsiasi serio senso della memoria storica.
Delle varie commissioni bicamerali fallite, a cominciare dalla commissione Bozzi del 1983, sanno un po’ tutti, almeno quelli di una certa generazione.
Ma c’è uno snodo di sviluppo della questione, un punto cruciale presente a pochissimi, su cui ho volentieri recuperato il senso della memoria anche in qualità di Presidente della Academy Spadolini. Mi riferisco al decalogo Spadolini del 1981, quando il grande statista laico e repubblicano, soprattutto per cercare di offrire una risposta immediata al deflagrante scoppio della questione P2 era stato designato come primo Presidente del Consiglio non democristiano della storia della Repubblica.
Ebbene, quel decalogo che non è il caso qui di ricordare in tutti i suoi dieci punti, guarda caso aveva un senso di fondo, quello di rafforzare in qualche modo il ruolo del Presidente del Consiglio, ma in un quadro più equilibrato di rapporto tra il Governo e il Parlamento.
Ciò avvenne con il primo e più significativo punto del decalogo attuato dallo stesso Spadolini, che da tempo si attendeva, la legge 400 di riforma della Presidenza del Consiglio. Ma-cosa da molti dimenticata- ciò avvenne anche con la scelta per la prima volta dell’adozione di una mozione motivata di fiducia ai fini dell’investitura della fiducia del Parlamento al Governo.
Riandare a quel precedente significa cogliere i veri punti nodali della vera questione istituzionale odierna: per un verso il rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio ai fini della maggior funzionalità dell’istituzione, per altro verso consolidare il rapporto, il continuum Governo/Parlamento.
Un aspetto indispensabile per una forma di governo parlamentare razionalizzata quale è quella italiana. Infatti, lo strumento della mozione motivata di fiducia, sparito poi dai governi successivi, serviva a dare un’agenda comune a Governo e Parlamento e a fissare scansioni, tappe, obiettivi intermedi per l’itinerario di governo.
Anche oggi l’obiettivo perlomeno dei vincitori delle elezioni -ma credo non solo loro- è quello di rafforzare la figura del Presidente del Consiglio, anche se meno attenzione si pone alla questione del rapporto Governo/Parlamento e all’esigenza di rafforzare il ruolo di un Parlamento molto indebolito, specie a partire dalla scorsa, strana legislatura.
Ma è sicuro che la via per rafforzare il ruolo del Governo e del Presidente del Consiglio sia quella di immettere nel nostro sistema istituzionale, di appesantire la nostra bilancia dei poteri con l’elezione diretta, vuoi che sia del Presidente della Repubblica, vuoi che sia l’elezione del Premier sulla base del modello del Sindaco all’italiana?
Come penso da tempo i cittadini sono più saggi della classe politica. Non a caso da un sondaggio Ipsos pubblicato sul Corriere della Sera del 20 maggio emerge che il 63% degli italiani vuole che il Colle resti super partes, perché evidentemente gli italiani si riconoscono in questa figura unificante e imparziale, cosi bene incarnata negli ultimi anni dal Presidente Sergio Mattarella.
Ma anche Giovanni Spadolini nel 1981, incaricato dal Presidente della Repubblica di allora Sandro Pertini, colui che per primo fece apprezzare nel modo più diffuso all’opinione pubblica il senso della figura del Presidente della Repubblica, il quale era attentissimo a mantenere il ruolo istituzionale imparziale e super partes del Colle.
Ebbene, sia se si andasse verso la via del premierato sia se sia andasse verso l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, sparirebbero quelle connotazioni di autorevolezza, imparzialità e simbolo unificante della nazione che incarna così bene la figura dell’attuale de Presidente della Repubblica.
In un caso perché evidentemente un premier rafforzato dal suffragio diretto popolare avrebbe una forza politica maggiore della figura, che subirebbe una chiara deminutio, del Presidente della Repubblica, nel secondo caso perché il Presidente eletto sarebbe ovviamente di parte.
Pertanto, è giusto,
cosi come era per Spadolini nel 1981, puntare sul rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio, ma se si tratta di un obiettivo che si può perseguire con strumenti non troppo invasivi, come bisturi e forbici con cui operare su alcune norme della parte seconda della Costituzione, perché pensare invece di finire per sparare qualche cannone di parte a palle incatenate contro l’attuale bilanciamento dei poteri?
Oggi, così come nel 1981, gli obiettivi appropriati sono quelli di attribuire al Presidente del Consiglio il potere di nomina e revoca dei Ministri, quello che il Parlamento attribuisca la fiducia solo al Presidente del Consiglio che poi nomina i Ministri e quello della sfiducia costruttiva, secondo cui chi abbatte un Presidente del Consiglio ha l’obbligo di indicare un nuovo Presidente e una nuova maggioranza, così come avviene nel modello tedesco.
È questa l’unica via per rafforzare la figura del Presidente del Consiglio, meglio se contemporaneamente stabilendo congegni che rafforzino anche il senso del ruolo del Parlamento e del continuum governo/ Parlamento, lasciando perfettamente in piedi la figura autorevole, imparziale, unificante del Presidente della Repubblica. Una figura incarnata oggi da quel signore che, utilizzando soprattutto l’arma dell’autorevolezza e del silenzio, offre ai cittadini e all’opinione pubblica messaggi ben più significativi di quanto fa una classe politica troppo ciarlante, che rispetto al silenzio preferisce l’ossessivo e continuo cicaleccio.
Puntare al modello della “silenziocrazia” offre al Paese e ai cittadini molto di più rispetto a quanto avviene oggi in questa sorta di modello dilagante basato sulla “cicalecciocrazia” che proviene da larga parte della classe politica.
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