Il governo ha vissuto il 2023 in uno stato di dissociazione fiscale, vivendo l’euforia del continuo e costante aumento delle entrate tributarie, ma volendo ignorare, almeno così sembrerebbe essere accaduto, quali potevano essere le più significative motivazioni poste alla base del risultato ottenuto. Al 30 novembre del 2023 il Tesoro indicava un incremento delle tributarie per i primi undici mesi dell’anno di circa 30 miliardi, traendo auspici di “felice prospettiva”.
Tutti in coro a magnificare il dato che il paese cresceva più della media europea, l’Italia andava meglio persino della Germania.
Disgraziatamente ignoravano il peso del famigerato superbonus. Avevano infatti trascurato le comunicazioni della Banca d’Italia, che pure aveva indicato nella costante crescita della produzione delle costruzioni e, in entità più limitata, dei servizi, la genesi della crescita del Pil nazionale. Le maggiori entrate tributarie, stante la crisi della produzione industriale e della stagnazione dell’export, dipendevano solo da quegli effetti.
Siccome, come oramai è noto, nessun pasto è gratuito, ecco arrivare la doccia gelata. Una spaventosa crescita del deficit che previsto a settembre al 4,2 per cento si è attestato al 7,2. la bellezza di tre punti percentuali in più. Cifre da brividi.
Sarebbe il caso di chiedersi cosa facessero gli onorevoli Giorgetti e Meloni per non accorgersi di quanto stesse davvero accadendo. A Roma si dice, “forse dormivano da piedi”, espressione che non suona proprio come un complimento. Ed è comunque ancora meglio di vedere un governo che cerca di scaricare le sue responsabilità su un ragioniere generale dello Stato. Questa ancora ci mancava, accusare l’intendenza di aver sballato le previsioni. Eppure dovrebbe essere facile da capire che se un governo decide di regalare moneta, può scordarsi di riuscire ad ipotizzare il livello massimo della domanda.