Ecco. Ci risiamo. È successo di nuovo. È successo che non abbiamo ancora capito che stiamo esagerando, basta, è ora di frenare. Che l’arte moderna doveva provocare, essere un momento di rottura, è giusto. Rompi col passato e questo ti serve a crescere, a maturare, a diventare altro. Anche un adolescente a un certo punto deve mettere tutto in discussione e ogni cosa è un processo. Fa parte della vita. A sedici anni ti senti un pubblico ministero della qualunque. Pure l’Arte allora doveva crescere e a un certo punto dire: va bene, siamo stati questo, siamo stati Michelangelo, Caravaggio, ora dobbiamo prendere la realtà e smontarla, destrutturarla, reinventarla, farla esplodere nelle tele. È arrivato Picasso, è arrivato Dalì. L’arte è identità di forma e contenuto, diceva più o meno Croce. Che vuol dire che intanto devi avere una forma, cioè una perizia tecnica qualsiasi, perché non puoi prendere una tela, e un pennello e dei colori a caso, devi padroneggiare la pratica, il tuo è soprattutto un fare, sei un artigiano; se prendo un violino e un archetto posso stare fino a domattina ma altro che Vivaldi. Poi, oltre che la forma, devi avere un contenuto, banalmente: qualcosa da dire. Hegel riconosceva all’arte una funzione rappresentativa di verità concettuali. Ogni potere ha bisogno dell’arte per celebrare se stesso, per magnificarsi. Ma ogni opera è portatrice di un messaggio come ci dicevano le professoresse alle scuole medie. Se un quadro non ha rinvii, allora è arredamento. Non lo metto in un museo. Lo metto in salotto, perché sta bene col divano e con le tende.
Poi però sono arrivati i contestatori, perché ragionare così è da borghesi, da antichi, da vattelappesca. Loro sono gli innovatori. E hanno cominciato a buttare i colori a caso su una tela. Si chiama ‘espressionismo astratto’ perché dilettante o provocatore non si può dire. Una cosa fica, di moda, talmente convincente che è un Pollock il quadro più caro al mondo. Cioè, c’è pure in giro più di un idiota disposto a riconoscergli un valore e a tirare fuori dei soldi veri. Pure se è facilmente riproducibile e se non vuol dire nulla. La provocazione è tutta qui, è il senso dell’arte a dover morire. È l’angelo dei significati ultimi che si allontana dalla macerie della comprensione. Walter Benjamin parlava della debolezza dell’angelo della storia, quasi impotente a svolgere il suo compito. E cita un angelo di Paul Klee che tu ti aspetti bellissimo quando te lo descrive Benjamin, e invece è uno scarabocchio che pure mio figlio alle elementari. Ma loro ti rispondono: sì, ma Klee è arrivato prima, ci ha pensato prima lui. Quindi l’arte moderna è quella di chi pensa sciocchezze più in fretta degli altri. Mio figlio s’è dovuto mettere l’anima in pace. Ci ha pensato poi Andy Warhol a cambiare l’idea di artista. L’artista è l’imprenditore. Che ti vende la Monroe o i barattoli di zuppa Campbell. E soprattutto finisce per convincerti che in fondo è una cosa intelligente. Tra il moderno e il contemporaneo c’è la stessa ambiguità furbetta, quella per cui se in un museo mi siedo su una sedia, la colpa è mia che sono ignorante e non tua che mi stai prendendo per il culo. Bisognava dirlo a Duchamp: hai ragione, l’arte è qualcosa su cui si può far pipì, quindi mettiamola nei bagni, non nei musei. Se lo avessimo detto al primo non avremmo avuto Fontana che taglia le tele, o Alberto Burri, o Piero Manzoni che in scatola ha messo il meglio di sé.
Ci risiamo, dicevamo. Perché adesso un olandese l’ha fatta grossa. Io ero rimasto a Cattalan che saluta la Borsa, alla pornostar che si fa odorare (va da sé, al Contemporary Art Museum), all’artista canadese nudo che beveva la sua urina, a Marina Abramović, e a tanta altra gente che gli espertoni dice andare ‘controcorrente’. Ma questo qui li ha superati tutti. Un genio assoluto. Sapete che ha fatto? Si è fatto dare 70mila euro da un Museo. Se li è presi e tanti saluti. L’opera d’arte è questa, dice. Ora, qui persino il Museo c’è rimasto male. E lo vorrebbe denunciare perché la direzione sostiene che questa non è arte, ma un furto. Un furto, capite? L’olandese.
Se un vostro amico dovesse invitarvi alla sua personale, perché qualche idea prima di noi sarà venuta pure a lui, non sentitevi a disagio: l’unico modo per dimostrare che siete uomini di cultura è ridergli in faccia.
Foto Sergio Calleja| CC BY-SA 2.0