Prima ancora della questione storiografica, è positivo vedere che la Rai non vive solo di polemiche sulle magliette indossate da Enrico Montesano. Il grande talento cinematografico di Marco Bellocchio rivisita il rapimento Moro, una pagina cruciale della storia repubblicana. Bellocchio in Rai è già di per sé una notizia formidabile, qualcosa di inconsueto per un palinsesto culturalmente mediocre. Bellocchio si era già occupato del rapimento Moro in “Buongiorno notte”, sostanzialmente una ricostruzione interna alla dinamica terroristica, con solo un finale imprevisto, Moro lasciato scappare da una basista con i sensi di colpa.
L’idea della liberazione di Moro era dunque un tema che Bellocchio aveva già ben presente nella sua visione metastorica, che ritorna anche nelle serie televisiva, quando i basisti discutono se sia più rivoluzionario e o meno liberarlo. Sono i partiti di governo, lo Stato, a volerlo morto. Il fatto poi che Moro fosse l’esponente più progressista della Dc, il più aperto, l’uomo dell’inclusione prima dei socialisti ed ora persino dei comunisti, assume un peso o no nella scelta del bersaglio? Questo è il nodo della vicenda, le Brigate rosse, i veri leninisti oltranzisti, convinti o meno che fossero del successo della rivoluzione, volevano forse colpire il dialogo? Bellocchio non ci dice, e forse nessuno può dirlo, se Berlinguer e la direzione del partito comunista avrebbero votato per il governo Andreotti senza il rapimento e soprattutto, se il disegno di Moro di tenere il partito comunista in maggioranza si sarebbe realizzato senza il suo sacrificio.
Bellocchio poi non è un militante rivoluzionario, lo si capisce dalla sua rielaborazione di uno slogan famoso dell’epoca, “cloro al clero, diossina alla dc, piombo piombo piombo allo Msi”. La versione di piazza prevedeva infatti, “piombo tetraetile allo Msi”. Lo sorregge invece l’intuizione creativa del grande artista. In “Buongiorno notte” Bellocchio interpreta i sentimenti dei brigatisti, lo stesso fa ora con quelli dei democristiani. Cossiga ministro degli interni appare perdersi in un bicchiere d’acqua, o perché davvero inadeguato o perché desideroso di sbarazzarsi di Moro per aprire una nuova stagione politica da protagonista che lo avrebbe portato dritto alla presidenza della Repubblica. Bellocchio esaspera gli aspetti nevrotici, è pur sempre l’autore de “I pugni in tasca”, quasi il rapimento comportasse una psicotragedia all’interno della democrazia cristiana e Cossiga ne rappresentasse la cattiva coscienza. Abbiamo letto del disappunto dei familiari di Moro, ma sono quelli di Cossiga che avrebbero ben più ragioni di lamentarsi.
Chi ricorda la profezia sul centrosinistra lanciata da Pacciardi, “Questo vostro incedere con passo felpato onorevole Moro, fra Cristo e Satana, avrà ripercussioni che forse voi non immaginate, anche più gravi di quelle che io vi dico, ma intanto nuoce all’autorità dello Stato”, anno di grazia 1963, ha una prospettiva molto diversa. Ovvero, quella della crisi democratica in cui precipita una giovane Repubblica incapace di fissare i confini dell’opposizione per evitare una politica dell’alternanza. Un problema che si ripresenta in fondo ancora oggi, anche se va detto, che quando la distinzione tra governo e opposizione nel nostro paese si mantiene troppo rigida, il clima torna lo stesso quello della guerra civile.
Foto Niekverlaan