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Il giacobinismo visto con gli occhi del trasformismo

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
21 Agosto 2022
in Cultura
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Il principale equivoco concernente il giacobinismo nasce dal conoscerlo attraverso gli occhi dei suoi nemici. Anche lo storico più appassionatamente repubblicano, il grande Michelet, come il buon Quinet, prova nei confronti dei giacobini un qualche ribrezzo. Come potrebbe non averlo? Il giacobinismo inizia ad essere perseguitato fin dall’agosto del 1794 e si ritrovò, a breve, come principale avversario, il generale giacobino Bonaparte che successe a quella banda di terroristi, Barras, Tallien, Freron che giacobini della prima ora, scaricarono i loro crimini sul club di cui volevano liberarsi.

André Chenier, che del giacobinismo era sempre stato un nemico accanito, tendeva a distinguere all’interno del club un giacobino da un altro. Intanto perché ci aveva un fratello giacobinissimo. Poi perché, e questo sarebbe l’aspetto da tenere a mente, il giacobinismo non è un partito moderno.  Il modello del partito ottocentesco si forma sulla società giacobina, senza nessuna identità plausibile. Madame Rolande quando vede la gironda messa alle strette si interroga sulla necessità di fare un partito e si rifiuta immediatamente. Sarebbe proprio quello che vorrebbero i suoi nemici montagnardi, una fazione costituita formalmente da combattere in nome dell’unità del popolo sovrano. Mica era scema la Rolande.

Il colpo di grazia al giacobinismo lo diede il bolscevismo.  Quest’ultimo, nato nella steppa a mille chilometri da Parigi  e centoventi anni dopo, si considera un diretto discendente.  Persino i professori della Sorbona, Aulard, Mathiez che li si litigavano ogni giorno erano d’accordo nel riconoscerlo tale.

Fra tanti giudizi abbiamo una sola descrizione accurata del club di Rue Saint Honorè, fornita proprio da Chenier, il quale è sicuramente attendibile. Il club era una specie di antro, le ringhiere sudicie, le scale viscide, l’aria mefitica, il pubblico composto principalmente da fumatori avvinazzati, perdigiorno e giocatori d’azzardo. Cosa ricorda un ambiente così descritto? Più o meno, prostitute escluse, il Palais Royal del duca di Orleans e la cosa si comprende.  Fu il duca il più grande agitatore di Francia, e gli stipendiati del duca si sparsero fra i cordiglieri ed i giacobini, secondo il caso, Laclos, l’autore delle Liesons dangereuses, segretario del duca, frequentava entrambi.  

Tale ricostruzione di Chenier stride però con la spietata macchina da guerra descritta da Cochin, dallo stesso Michelet, fino a Cobb, cioè da storici reazionari e progressisti insieme. Come è possibile che un personale politico tanto variopinto  potesse esercitare un ruolo di influenza e di sorveglianza sulla Convenzione, di controllo sulla Comune e persino spingersi nelle province e nei dipartimenti? E’ chiaro quindi che se le cose stanno come le dice Chenier, e ripetiamo, Chenier è attendibile, il ritratto del giacobinismo non è per lo meno completo, quale peso abbia giocato, qualcosa ci sfugge. Per cui se il giacobinismo esercita una funzione fondamentale all’interno della rivoluzione, è altrettanto sicuro che questa funzione sia stata per lo meno sopravvalutata o, magari deliberatamente artefatta.

Il club giacobino o bretone, “gli amici della costituzione”, nasce come componente parlamentare.  I primi capi del club, i fratelli Lameth e Duport, e c’è chi sostiene invece Le Peletier e Dubois Crancè, appena si ricordano.  Sono invece considerati giacobini, Barnave e Lafayette e quindi Mirabeau, ovvero coloro che passano al club dei foglianti, Mirabeau, per sua fortuna, muore prima. André Chenier è solo fogliante, non è mai stato giacobino. E Carnot, senza essere fogliante, non è giacobino, come non è giacobino il potente ministro delle finanze di tutti i governi repubblicani, Cambon. Nel 1792 gli aderenti del club rimasti nella sede di rue Saint Honorè, il vecchio convento dei giacobini, sono una infima minoranza.  Considerato che il terribile fenomeno del giacobinismo prende il sopravvento dall’agosto di quell’anno, e che nel novembre del ’94 il club viene chiuso, parliamo di due anni in tutto. Eppure i crimini della rivoluzione sono tutti attribuiti al giacobinismo e coloro che erano membri di quel club, si preoccupano di cancellare ogni traccia della loro appartenenza.  Se vi riescono hanno ancora un futuro politico. Praticamente solo Bonaparte non nasconde il suo passato, al contrario, ma Fouchè si dovrà nascondere lui per almeno tre anni. La confusione fu tale che quando Carrier viene condannato alla ghigliottina, il giovane Hegel è convinto che sono i robespierristi ad averlo eliminato e non i termidoriani suoi complici. E a dire il vero Hegel aveva ragione, tutti si identificano con Robespierre, semmai era Robespierre che ti schifava.

Ecco sorgere un fenomeno molto più interessante da studiare del club giacobino e che pure si comprende solo a partire da quello. Ovvero, come sopravvivere individualmente agli errori politici commessi. Il giacobinismo, state sicuri, si estinse quasi subito. Questo opposto che gli rimase, il trasformismo, ebbe un formidabile successo. A conti fatti, ce l’ha ancora oggi.

Domaine de Vizille, Musèe de la Rèvolution française

Tags: giacobiniMichelet
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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