Fermo in un letto d’ospedale, col cuore che fa le bizze, mai avrei pensato di dover stare a guardare, così, l’ora più buia di Israele. Da questo particolare osservatorio, grazie alle nuove tecnologie però, ho avuto il tempo di seguire, praticamente in tempo reale, l’evolvere della situazione. A fianco degli sviluppi sul campo, un’altra evoluzione mi ha colpito, quella dei commentatori.
Devo essere onesto, in realtà, a meravigliarmi è stata la compattezza delle prime ore, nella quale non avevo visto ancora nessuno dei soliti, ipocriti, distinguo. Ma tale è stata l’efferatezza dell’attacco che giusto qualche insano di mente (e c’è stato) poteva plaudire all’azione di Hamas. Purtroppo tanto più appariva chiara la portata dell’attacco, tanto più chiare se ne profilavano le conseguenze. Una violazione dei confini di Israele non avveniva da 50 anni, e a compierla, all’epoca, erano stati eserciti in uniforme. Oggi no, oggi abbiamo assistito all’azione di miliziani, straordinariamente addestrati ed equipaggiati che hanno condotto e guidato un nuovo Pogrom, eseguito dalla popolazione civile che si è unita a loro, e ha massacrato i vicini, quelli presso cui andava a lavorare. Occorre tenere molto bene a mente questo particolare quando si invoca la distinzione tra Hamas e la popolazione civile che, spesso, è stata informatrice, guida sul campo ed esecutrice materiale dei saccheggi, degli stupri, degli omicidi e dei rapimenti.
Ma andiamo avanti. Dicevamo dei commentatori. È palese che una ferocia come quella a cui abbiamo assistito non è casuale. Ma è studiata a tavolino. La domanda giusta sarebbe stata, perché? Un osservatore superficiale avrebbe risposto – per scatenare la reazione israeliana – fin troppo ovvio, ma come?
Partiamo dall’inizio. È apparso subito chiaro che le modalità dell’attacco mostravano una lunga e meticolosa preparazione. I miliziani alla guida dei raid, avevano mappe con obbiettivi, attrezzature militari sofisticate, probabilmente erano veterani del conflitto siriano (qualche testimone afferma che almeno una squadra si esprimeva in Farsi) addestrati all’uso di armi da squadra e superiori. Sono stati usati mezzi aerei, terrestri, e navali. Un tale esercizio di capacità tattiche non può essere fine a sé stesso. C’era, evidentemente, una strategia più articolata rispetto al semplice attacco “mordi e fuggi”. Sempre a livello tattico un’altra cosa è apparsa immediatamente evidente, l’inusitato fuoco missilistico di copertura che ha anticipato l’attacco di terra. Obbiettivi e raggio d’azione superiore hanno tenuto i mezzi di soccorso a debita distanza dalla Striscia mentre i difensori più vicini erano chiusi negli shelters confidando nell’ennesimo, seppur più intenso, attacco di razzi. Ma la quantità dei razzi lanciati dalla striscia, e che ha continuato ad aumentare in queste due settimane di scontri, lascia molto da pensare sulla precedente “prigione a cielo aperto” e sull’impossibilità di far transitare beni da un lato all’altro dei confini. Se riescono a passare decine di migliaia di tonnellate di armi, ci si chiede come facciano a non passare beni di consumo ordinari.
Comunque, abbiamo detto, una straordinaria ferocia, un attacco tatticamente perfetto, la presa di un numero di ostaggi senza precedenti. A cosa dovevano servire se non ad una reazione altrettanto senza precedenti? Dunque, l’unica variabile che resta, su questo campo di battaglia dalle mosse apparentemente obbligate è quella del tempo. Probabilmente il Grande Regista, colui che ha fornito il piano ed i mezzi per eseguirlo, riteneva che lo choc per un colpo così ben assestato, e per il rapimento di un tale numero di civili, avrebbe offuscato le capacità di giudizio, ed avrebbe spinto l’IDF ad entrare immediatamente all’interno della striscia. A quel punto sarebbe partita la seconda fase, il vero piano di attacco. Tsahal, invischiato in Gaza, avrebbe dovuto sottrarre difese dal fronte nord e da quello interno, lasciando sguarniti i due settori. Questo avrebbe dato il via ad un attacco coordinato di Hezbollah a nord e dei gruppi armati in Giudea e Samaria, che avrebbero devastato il territorio e costretto Israele a chiedere un cessate il fuoco.
Ma la trappola non è scattata. L’IDF non ha abboccato. Forse le esche erano addirittura troppe. Anziché precipitarsi nella Striscia lo Stato Maggiore ed il Gabinetto di Guerra hanno deciso la mobilitazione di 300.000 riservisti (per capirsi circa il numero di militari che l’Ucraina ha sul campo contro la Russia). Questi sono stati immediatamente dislocati su tutti i settori, Nord, Centro e Sud. Nel frattempo la Striscia è stata sigillata ed è iniziata la prassi di ammorbidimento. Distruzione dei sistemi di comunicazione, dei centri di controllo e comando, dei depositi di armi ed il fuoco di controbatteria rispetto alle salve di razzi che continuano a partire. In questo modo Hezbollah non ha potuto attaccare. Il fronte nord era fortemente presidiato, ed ogni incursione sarebbe stata contrastata efficacemente sul nascere. Anche in Giudea e Samaria azioni preventive contro i gruppi armati locali hanno bloccato sul nascere eventuali sommosse. Dunque, sebbene sottaciuta, la risposta Israeliana è già stata proporzionale allo scenario che le si prospettava.
Ora, però, occorrerebbe ragionare sulla situazione complessiva, se si vorranno prendere le giuste iniziative a livello internazionale. E qui torniamo all’ipocrisia dei media che continuano a trattare la questione come se fosse solo un problema tra Israeliani e Palestinesi, facendo finta di ignorare che la questione non è mai stata solo un problema locale, ma è sempre stata una questione regionale, per la quale, Israele, non ha mai combattuto solo i Palestinesi. All’inizio erano gli stati arabi coalizzati, poi fu la volta dell’URSS che guidava Nasser e dopo fu la volta, e lo è ancora, dell’Iran, che impedisce qualsiasi avvicinamento o normalizzazione. Se non si capisce questo, se non si toglie all’Iran la capacità di decidere sulla testa dei palestinesi, questi non potranno mai avere una loro rappresentanza politica e, di conseguenza, non potrà mai esserci un tavolo per la pace.
Ma perché l’Iran ce l’ha a morte con Israele, al punto da finanziare ed armare Hezbollah, Hamas, PIJ, ed altre decine di gruppuscoli minori? Dovrebbe bastar osservare una carta per capire che Israele è l’unico ostacolo al completamento della cosiddetta “mezzaluna sciita”, cioè quel territorio senza soluzione di continuità che parte dall’Iran, passa per l’Iraq, la Siria meridionale ed il Libano e che permette alla Teocrazia degli Ayatollah di tagliare orizzontalmente il Medio Oriente. Dunque solo dopo aver compreso le reali mire imperialista dell’Iran si può comprendere come, ora, sarebbe impossibile pretendere da Israele un cessate il fuoco senza che questo appaia, agli occhi di ogni gruppo armato proxy dell’Iran, come un suggello di sconfitta ed un invito a programmare altri e più feroci attacchi. Occorre che la comunità internazionale, e l’Unione Europea in particolare, accetti di svolgere un ruolo attivo, insieme ad alcuni stati arabi importanti, per bloccare l’Iran e di interporsi a Gaza disarmando Hamas e gli altri gruppi armati, in maniera da privare l’Iran della gestione politica della striscia.
Se l’U.E. non ha il coraggio di farlo, non potrà pretendere da Israele il guanto di velluto.
Foto Eric Borda | CC BY-ND 2.0