Chi è il ‘babbo della Romagna’? (babbo è il termine affettuoso usato in alcune zone d’Italia per indicare il padre). Solitamente l’allocuzione dialettale ‘é ba’ dla Rumagna’ viene riferita ad Aldo Spallicci, medico, poeta e politico repubblicano (1886-1973) che ha dato il nome alla località in cui trascorse la giovinezza e fu sepolto alla morte, Santa Maria Nuova Spallicci, frazione di Bertinoro, tra Forlì e Cesena.
Ma c’è un altro romagnolo che ha tutte le carte in regola per essere definito ‘é ba’ dla Rumagna’: il faentino Alteo Dolcini (1923-1999), un vero e proprio vulcano di iniziative destinate a lasciare un segno, una ne faceva e cento ne pensava, ma sempre in chiave romagnola.
La Romagna ha un’identità che si perde nella notte dei tempi, il nome stesso indica il legame col mondo romano, in contrapposizione alle terre sotto il dominio longobardo. Andrea Sirotti Gaudenzi sostiene che Spallicci e Dolcini risvegliarono, assieme alle tradizioni, l’avversità al giogo bolognese imposto da Luigi Carlo Farini che il 30 novembre 1859 unificò con un decreto sotto la monarchia sabauda i territori dell’Emilia e della Romagna facendo cadere torri e campanili da Piacenza a Cattolica, ma non riuscirono a concretizzare l’idea dell’autonomia romagnola.
Quando Alteo Dolcini vide la luce a Forlimpopoli, Aldo Spallicci aveva già 37 anni, si era laureato in medicina a Bologna con Augusto Murri e aveva servito la Patria come tenente medico durante la prima guerra mondiale sul fronte del Carso meritando tre croci di guerra. Da convinto interventista nel 1912, prima dell’entrata in guerra dell’Italia, si arruolò volontario nella Legione garibaldina combattendo a fianco della Grecia contro la Turchia, e il 24 maggio 1915, prima dell’entrata in guerra dell’Italia, si arruolò nuovamente nella Legione Garibaldina come medico volontario.
Aldo Spallicci aveva idee mazziniane, era iscritto al Partito Repubblicano Italiano e quando tornò dalla guerra aprì uno studio medico a Forlì. Nel 1920, dando sfogo alla sua passione per la cultura romagnola, fondò la rivista La Piè che purtroppo ha cessato le pubblicazioni nel 2018. Fu arrestato due volte perché oppositore del fascismo e nel 1927 costretto a lungo al domicilio coatto a Milano, ma alla fine della guerra (dopo alcuni mesi di confino in Irpinia) si stabilì a Milano Marittima e fu eletto per il Pri all’Assemblea Costituente dove cercò invano di far approvare l’istituzione della Regione Romagna. Per due legislature fu eletto al Senato sempre per il Partito Repubblicano ed ebbe importanti incarichi governativi: fu Alto Commissario Aggiunto per l’igiene e la sanità pubblica collaborando alla nascita del Ministero della Sanità, poi fu sottosegretario di Stato al Turismo nel sesto e settimo governo De Gasperi. A metà degli anni Cinquanta, quando il Pri sterzò a sinistra, si allontanò dai vertici e seguì Randolfo Pacciardi quando fu espulso dal Pri e fondò l’Unione Democratica Nuova Repubblica. Nel 1952 fondò La Voce di Romagna che diventò l’organo del Pri di Ravenna.
L’attività culturale di Aldo Spallicci (Spaldo era il suo pseudonimo) è fondamentale per la Romagna almeno quanto quella politica: dal 1908 al 1973 pubblicò una ventina di volumi di poesie e cante in dialetto romagnolo, anzi di Forlì, la città nella quale visse dai 18 anni. Per tutta la vita studiò le tradizioni popolari romagnole; tra le cose che ci ha lasciato c’è la caveja (l’attrezzo che collega il timone del carro agricolo al giogo dei buoi) identificata come simbolo della Romagna.
Dice con sintesi efficace lo storico Roberto Balzani: “Aldo Spallicci, da indagatore della superstite tradizione romagnola, divenne egli stesso, per tutti i romagnoli, la voce e il testimone della loro tradizione”.
E adesso c’è un giovane e valente cantante lirico e pianista, il tribuno di Romagna Raffaello Bellavista, che sta facendo un grande lavoro di trasposizione in chiave lirica delle cante romagnole che hanno diritto a pari dignità con quelle napoletane e argentine diffuse in tutto il mondo.
Il naturale complemento e sviluppo di Aldo Spallicci è stato Alteo Dolcini, segretario generale del Comune di Faenza: aveva una mente vulcanica e una capacità organizzativa straordinaria: l’Ente Tutela Vini di Romagna, il Tribunato Di Romagna, la Società del Passatore, la Cà del Bé di Bertinoro, la Cà de Ven di Ravenna, la Cà de Sanzvés di Predappio Alta, la 100 km del Passatore Firenze-Faenza, l’Ente Ceramica Faenza, l’Ente Musica Romagna e l’associazione Fo-Fa (Forlì-Faenza) sono alcune delle creature a cui diede vita, e la maggior parte sono tuttora vive e fiorenti.
Ma a me, giornalista di lungo corso che non ha mai voluto recidere le radici romagnole, piace ricordare la Mercuriale Romagnola (1965-1999), originale periodico zeppo di notizie e notiziole di vita romagnola, la summa delle iniziative e del pensiero di Alteo Dolcini, sulla quale ho avuto l’onore di pubblicare un paio di notiziole da Imola, la città in cui vivevo, e che ha contribuito a educarmi alla sintesi.
Alteo Dolcini, che in politica seguiva le idee mazziniane di Spallicci, è stato ricordato con efficacia intrisa d’affetto da alcuni di coloro che hanno collaborato con lui e raccolto la sua eredità in un convegno che si è svolto a Faenza presso il cinema-teatro Sarti il 18 novembre 2023, e nella prima tornata del 2024 del Tribunato di Romagna, il 25 marzo a Bertinoro. Bruno Marangoni, Silviero Sansavini, Massimo Isola, Claudio Casadio, Gabriele Albonetti, Salvatore Giannella, Roberto Monti, Vittorio Argnani e Giordano Zinzani, con la regia morale e materiale di Andrea Dolcini che insieme alla famiglia ha creato un’associazione che lavora per mantenere viva la memoria di quel che fece il padre Alteo e svilupparne ulteriormente le felici intuizioni.
Insomma, ‘é ba’ dal Rumagna’ non è uno, ma sono due, e noi speriamo che da qualche parte della Romagna ci sia qualcuno capace di diventare il terzo, perpetuando il motto ‘sol da dé, gnit da dmandé’: devi solo dare senza nulla chiedere.
Nella foto, tratta dagli atti del convegno del 18 novembre 2023 pubblicati dal Comune di Faenza, da sinistra Aldo Spallicci, Alteo Dolcini e Max David, i fondatori del Tribunato di Romagna.