Alla fine ci sono cascato. Ho provato a resistere, ma sono affascinato dal libro lungo. Quando vedo il mattone sto male, deve essere mio. Perché sono ancora convinto che nel mattone, dentro, ci posso trovare il mondo. Difficilmente è così. Vedo una cosa di settecento pagine e mi dico: l’autore aveva tanto da dirmi. Se quella cosa di pagine ne avesse ottanta tenderei a considerarla mancanza di ispirazione. Spesso è esattamente il contrario, lo sappiamo bene. Ma anche la mia gatta aveva guardato il libro con una certa curiosità.
E allora diciamolo con grande chiarezza: evitate Houellebecq, per carità. Non vogliatevi così male da cedere alla tentazione di comprare Annientare. Sedetevi, nel caso, fate un bel respiro e aspettate che vi passi.
Non funziona niente in questo romanzo, assemblato alla rinfusa. Parte come Dan Brown dei poveri, con una trama sfilacciata e intuizioni approssimative e poco credibili (il Bafometto di Elifas Levi che accende le riflessioni dei servizi è un’offesa alle intelligenze medie), con una narrazione stanca, che non sa dove andare, con riflessioni sulla vita disarmanti, con rigurgiti new age, privi di reale approfondimento e pathos poetico ed esistenziale. Non che manchino, qua e là, dei momenti dove il narratore di talento avrebbe potuto inserirsi con efficacia. Ma il problema è proprio questo: manca il talento. La malattia, la morte, l’autunno, potrebbero lasciare il campo a Camus. La questione è che Houellebeck non è Camus e quando ti dice di culo ti cita la Wicca. E anche quelle pagine affondano nella stessa, unica, agonia. Annientare finisce per essere un drammone dove nemmeno la tristezza è nel posto giusto, dove persino l’eleganza formale non c’è. No, decisamente non ci siamo. Con venti e passa euro ci viene un tostapane.