Ecco, io adesso vi dovrei spiegare perché ho scritto Un pozzo di abati e di principi. E comincio subito male, in una testata repubblicana, perché immagino che, di primo acchito, uno mi dica subito: Mauro, ci dispiace, ma qua amiamo poco gli abati, per non dire dei principi. E starei subito in affanno per chiarire che il titolo è un titolo così, mentre la storia è una cosa cosà, cioè ben altro. E questo altro è talmente altro e alto che vale la pena darci un’occhiata, se non altro per non farmi dispiacere.
Un pozzo di abati e di principi, cioè, è una narrazione talmente sgangherata, nella sua feroce logica, che vanno bene pure occhi distratti. Potrebbe piacere, mettiamola così, a tutti. Perché, dentro, c’è il mondo. Questo pozzo è una cosa da cercare, ci sta il viaggio e l’avventura, ma è anche una storia d’amore che lo impone e lo esige, un amore di cui non si è mai degni, che ti ferisce, ti taglia, ti brucia e tu ne vuoi sempre di più, più ti uccide e più vuoi essere ucciso, più cerchi di preparare l’altare del sacrificio, il tuo.
Cercare un pozzo però significa anche cercare un’ispirazione che non c’è. E pensa questo quanto complica se con l’ispirazione ci devi campare. E vorresti metter su famiglia. E se famiglia la vuoi mettere con quella dell’altare, del sacrificio, eccetera. Ma un viaggio del genere sarebbe ruvido e prevedibile, e allora ho voluto strafare, ho voluto metterci dei compagni di viaggio, che sono buffi, folli, perché non saprei come descrivere meglio la vita.
Se la filosofia è comprensione questo è un racconto filosofico. È un libro che con la scusa di Cavazzoni, ti ci mette in mezzo Hegel che oggi va su tutto. Il Logos si posa sulle cose e si tratta di capire che non ci sono cose senza la mia comprensione delle cose. Quindi leggere questo libro vuol dire porsi in viaggio e conoscere gente, e cercare, e sperare, e ridere, e pensare, e maledire. Vi prometto poesia e silenzio. Non saprei aggiungere altro. Facciamo una cosa. Leggetevelo. E ditemelo voi. Se ne valeva la pena. E perché.