Edgardo Gulotta che è stato un giornalista de La Voce Repubblicana negli anni ’80 del secolo scorso ed è rimasto un amico carissimo ci ha inviato il seguente articolo che pubblichiamo molto volentieri
Diciamocelo con franchezza: l’Europa sta affondando. Dopo anni faticosi, tra crisi del debito, spinte divaricatrici del sovranismo, epidemia di Covid, guerre ai confini, prezzi dell’energia alle stelle, autogol del Green deal, pericoli di recessione, la presidenza Trump è la goccia che può spaccare il nostro vaso di coccio.
Di fronte alle provocazioni della Casa Bianca, politiche, affaristiche, o anche solo propagandistiche, la tutt’altro che coesa squadra dell’Unione ha perso gli ultimi brandelli di interesse comune. Ognuno è pronto a fare per sé, salvando quel che può.
Le crisi in cui si dibattono Francia e Germania hanno devastato quel poco di cabina di regia che esisteva a Bruxelles e ora si marcia in ordine sparso. Che futuro ci può essere senza un progetto condiviso? La politica è stata ammazzata dalla regola dell’unanimità, dai compromessi al ribasso, dalla smania di estendere indefinitamente la comunità, non preoccupandosi mai di far crescere l’idea comune di Europa ma solo di allargarne i confini. Il giocattolo si è rotto, molti dei nuovi arrivati dalla Commissione accettano solo i contributi, spesso cospicui, e sabotano ogni progresso di integrazione. Anche per noi la fine della storia è stata un abbaglio: il pendolo marcia veloce verso il punto più alto del nazionalismo negli ultimi 80 anni e trova gli europei (di nome e non di fatto) impantanati a metà del guado, sfiduciati, divisi e più poveri.
Sembra una provocazione, ma l’unica cosa da fare oggi è rilanciare il sogno dei fondatori. Se le cose restano come sono, siamo destinati a disfarci entro la presidenza Trump che non a caso picchia sui nostri punti deboli. È ora di pensare invece che l’Europa per sopravvivere debba andare a più velocità con il gruppo di testa che raggiunga il traguardo politico. I paesi fondatori devono lanciare la sfida: la riforma dei trattati, a oggi, è lontana e il rischio è di chiudere ingloriosamente il sogno comune con le istituzioni che implodono letteralmente su se stesse.
Occorre invece recuperare lo spirito pionieristico di Roma e iniziare un percorso nuovo, la strada verso uno Stato federale. Sì, sembra una provocazione di fronte alla crisi attuale, alla qualità dei leader politici che ci sono in giro, alla debolezza delle istituzioni, al sentiment dell’opinione pubblica, ai sondaggi, allo stesso Zeitgeist nel quale ci muoviamo. Ma il manifesto di Ventotene fu scritto con le dittature che occupavano gran parte dell’Europa.
Perché rinunciare? L’Unione a 27 è strattonata da interessi contrastanti, politiche nazionalistiche, egoismi di bottega: molti dei partecipanti vedono la Ue come una placida mucca che si fa mungere silenziosamente e della quale sopportare al più qualche bizza di regolamenti. Se non facciamo qualcosa, finirà che rivali e avversari approfitteranno delle nostre divisioni battendoci uno alla volta, prima i più deboli e poi tutti gli altri. Una sconfitta economica che vorrebbe dire vassallaggio, visto che si sta concludendo l’era del libero mercato e della globalizzazione.
L’Unione che da sempre balbetta sotto il profilo diplomatico e militare è ormai anche un ex gigante economico: abbiamo i piedi d’argilla perché ce li siamo zavorrati da soli. Non c’è futuro, a meno che un pugno di paesi non scelga un’altra rotta completamente controcorrente. Serve un’iniziativa vera degli europeisti. Ora o mai più.
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