Una riflessione di Alessandro De Stefano, segretario del Partito Repubblicano di Taranto
Pochi giorni fa, il leader di Azione Carlo Calenda, ha cavalcato nuovamente l’ idea ( non solo sua per la verità) di un ritorno ad una legge elettorale proporzionale. L’ex ministro dello sviluppo non è nuovo a trovate del genere, come anche non è estraneo alla necessità di recuperare fette di elettorato, che non riconoscendosi nelle maggioranze di sinistra e destra, ormai latitano dalla scena politica. È innegabile che l’avvento del maggioritario all’italiana ( ossia ammucchiate di partiti e partitini in due schieramenti) non ha prodotto nella seconda Repubblica quel che si aspettava speranzosi. Se la prima Repubblica è stata bollata come fragile nell’esprimere governi stabili e quindi per questa ragione, archiviata appena se ne è avuta la possibilità, va sottolineato che la seconda Repubblica è stata anche peggio. Durante gli anni che vanno dal 1946 al 1993 abbiamo avuto 30 presidenti del Consiglio tutti espressione dei partiti afferenti al cosiddetto pentapartito ( DC, PSI, PRI, PSDI, PLI ) ed un governo tecnico ( Ciampi). Nella seconda Repubblica 1994 -2023 si sono alternati, invece, 15 premier, espressione di governi tecnici in tre casi ( Monti, Dini, Draghi) oppure di coalizioni di destra o sinistra.
In sostanza nella prima Repubblica, durata ben 47 anni, pur cambiando gli attori frequentemente, la linea politica rimaneva abbastanza omogenea e costante, mentre nei 29 anni di seconda Repubblica, non solo sono cambiati i premier, ma ad essi si è aggiunto il mutamento completo della postura politica dei partiti che supportavano tali governi. Quest’ultimo aspetto, non trascurabile, ha prodotto, negli ultimi trent’anni una difficoltà oggettiva di pianificazione delle riforme che, alla lunga, ha portato la nostra nazione a perdere terreno in campo economico, amministrativo, sociale, culturale e non solo. L’ alternanza di governi, spesso contraddittori tra loro, ha paralizzato il paese impedendo di proseguire il cammino delle riforme, necessarie per mantenere lo status di potenza europea avanzata.
È innegabile che spesso si è perso tempo nello smantellare ciò che il governo precedente aveva approntato. Pensiamo solamente a quante riforme ( fallaci) della scuola ci sono state negli ultimi decenni, o focalizziamo l’ attenzione sulle multiformi politiche pensionistiche. È opportuno anche sottolineare le difficoltà incontrate nel riformare o ammodernare la giustizia, le pubbliche amministrazioni e le infrastrutture nazionali. Questa situazione, di estrema incongruenza politica, e di spaccatura del paese in schieramenti tribali in perenne campagna elettorale, ha reso l’Italia sempre meno credibile anche in politica estera, dove non abbiamo saputo esprimere una linea chiara.
Ancora oggi i nostri interessi mediterranei sono poco visibili e spesso mortificati innanzi ad un quadro geopolitico in evoluzione, che ci vede troppe volte tagliati fuori dai tavoli che contano e dalle direttrici economiche rilevanti. In ambito interno il clima teso di lotta per il consenso ha allontanato una larga fetta della popolazione dalla vita politica e complice la crisi dei partiti ma anche del civismo (troppo spesso maschera in cui si annidano i pacchetti di voti clientelari e i trasformismi) ha portato alla nascita di governi maggioritari eletti da minoranze, giacché la maggioranza degli italiani non vota più da tempo. Una soluzione a questo desolante scenario politico è, secondo il nostro parere ( a cui Calenda evidentemente si associa adesso), il ritorno ad una legge elettorale proporzionale.
La nostra Repubblica fu pensata come Parlamentare, ossia capace di trovare esclusivamente nel buon funzionamento del Parlamento, specchio delle multiformi realtà del paese ( che sono ricchezza), la piena realizzazione di se stessa.
I gangli dello Stato hanno saputo esprimere il meglio di sé solo attraverso la presenza nel Parlamento delle varie realtà politiche, le quali quando elette, avrebbero dovuto mediare tra i loro interessi per la creazione di un governo. Da sempre la politica è costruzione di ponti tra le varie anime di una nazione e non erezione di barricate, lo stesso Parlamento strutturato ad emiciclo ( e non come in Inghilterra dove gli schieramenti sono anche logisticamente opposti tra loro) prevede tra gli estremi una regione centrale capace di essere la cerniera che unisce e mai divide. Per tal motivo, noi repubblicani, rappresentanti di un’ area liberale e democratica, mazziniana e riformista, riteniamo che solo il ritorno ad una legge proporzionale consentirebbe di richiamare alla vita politica la gran parte degli italiani e favorirebbe la rimessa in moto della nostra splendida Italia.
Foto Niccolò Caranti | CC BY-SA 3.0