L’esperienza elettorale italiana del secolo scorso, quando si va al voto, andrebbe sempre messa in conto. Allora c’era il sistema proporzionale e nel 1966 partito socialista e partito socialdemocratico si unificarono e alle politiche presero meno voti di quanti ne avessero preso separatamente. Lo stesso avvenne per le europee del 1989 quando radicali, repubblicani e liberali costituirono il polo laico incassando quasi la metà dei voti presi dalla somma dei consensi di ciascun partito alle politiche. Per la verità la cosa non dovrebbe stupire, meno liste, meno candidati, meno voti. Ovvero lo stesso fenomeno del sistema maggioritario, meno opzioni vi sono meno elettori votano. Da una parte non si trasferiscono i voti di un partito a comando, dall’altra, va considerata la credibilità del progetto. Se questo al primo insuccesso viene archiviato, gli elettori hanno la conferma di aver fatto bene ad ignorarlo.
Per venire a elezioni politiche più recenti era convinzione di questo giornale che se Calenda e Renzi si fossero intruppati con Bonelli e Fratoianni non avrebbero conseguito nemmeno l’otto per cento della loro lista terzo polista. Il cosiddetto terzo polo non avrebbe potuto contribuire alla vittoria di un centro sinistra, se collocato al suo interno, mentre ne avrebbe reso meno amara amara la sconfitta, se posto all’esterno. Questo perché Calenda e Renzi dovendo ancora dimostrare di essere compatibili fra loro sarebbero stati giudicati non compatibili con la sinistra radicale. Lo stesso problema che si trovavano Conte e Letta e oggi Conte e la signora Schlein. Tanto sono tutti fra loro eterogenei che l’elettorato di riferimento evapora rapidamente.
La controprova si è avuta nella tornata elettorale in Abruzzo dove a sostegno di un candidato apprezzato si sono ritrovati insieme tutti. Il campo largo, il campo atlantico, il campo russo. Risultato? Il candidato del centrodestra ha quasi ottenuto dieci punti di vantaggio. Per la verità non c’era di che farsi grande illusioni, anche in Sardegna, dove Pd e Cinque stelle avevano vinto per le rivalità interne alla destra e sono quelle che bisogna saper sfruttare, magari con una qualche proposta più seria. Il rapporto Salvini Meloni è un rapporto altamente a rischio. Mai si incrinasse in maniera tale davanti agli italiani da portare alla crisi del governo, allora bisogna farsi trovare pronti e non con un’ accozzaglia farneticante di scappati di casa. Serve una proposta di governo il più possibile omogenea. In questo momento invece di preoccuparsi delle cifre, dopati come siamo dalla società dei sondaggi, non ci capiremmo comunque niente, preoccupiamoci, come abbiamo sempre cercato di fare, dei contenuti.