Caro direttore,
il successo di pubblico ottenuto dallo sceneggiato su Goffredo Mameli trasmesso dalla Rai non può che essere accolto con soddisfazione da quanti si impegnano per far riconoscere al Risorgimento lo spazio che gli spetta nel discorso pubblico.
A un giornale come «La Voce Repubblicana», che non è solo l’erede diretto di quella tradizione, ma si impegna per attualizzarla di fronte alle sfide del XXI secolo, incombe però un dovere maggiore rispetto alla televisione pubblica.
Se la Rai può limitarsi a una funzione divulgativa,popolarizzando un’esperienza fondamentale come la Repubblica Romana, compito tutto sommato assolto, alla «Voce» spetta invece quel “supplemento analitico” che tu stesso evochi nel tuo editoriale.
Appare allora necessario riflettere su quale modello di Repubblica ci abbia tramandato l’esperienza romana del 1849, non solo perché appartiene al nostro patrimonio ideale ma anche perché può, forse, fornire qualche indicazione utile anche per l’oggi.
A cominciare dall’espressione “democrazia pura”, presente nel Decreto fondamentale del 9 febbraio e che scomparirà nel testo della Costituzione. L’espressione infatti, così potente ed evocativa, già all’epoca appariva tutt’altro che univoca, potendosi riferire a concetti tra di loro molto diversi, di cui solo uno era quello che di ‘democrazia diretta’ – per altro spesso utilizzato in accezione non positiva – mentre assai più usato era invece, il significato di ‘puro’ in contrapposizione a ‘misto’, ad indicare cioè un regime in cui gli elementi monarchici e aristocratici erano completamente assenti – e quindi per distinguersi ad esempio da quella Repubblica Romana classica, in cui una tradizione consolidata vedeva il modello del regime ‘misto’.
Ma ciò che è innegabile è che la Costituzione della Repubblica Romana disegna un regime parlamentare. E lo è tanto più che i costituenti, di fronte all’elezione a presidente della Repubblica di Luigi Napoleone Bonaparte e al fallimento della Seconda Repubblica francese, riscrissero in fretta e furia il testo, eliminando ogni traccia di ‘presidenzialismo’. È contro il cesarismo plebiscitario bonapartista che viene pensata l’architettura istituzionale della Repubblica con al centro l’Assemblea – il Parlamento – che elegge i consoli, nella prima versione della Costituzione eletti direttamente dal ‘popolo’.
Ma i Costituenti romani, figli semmai dell’esperienza girondina (a partire dallo stesso Mazzini, lettore fedele di Condorcet), sono ben consci anche dei rischi del centralismo giacobino e napoleonico e dedicano ben due dei “principi fondamentali” alla tutela dei corpi intermedi e – addirittura – degli “interessi locali”, recuperando nel quadro generale dello Stato Repubblicano unitario la tradizione autonomistica – e repubblicana – italiana, incarnata dai Municipi.
Mancano certo le grandi organizzazioni, i partiti e i sindacati in primis, non per omissione dei costituenti, ma perché siamo ancora agli inizi della società di massa e le grandi organizzazioni sono ancora di là da venire non solo in Italia ma in tutta Europa.
Non manca invece il pluralismo politico, praticato prima ancora che teorizzato da Mazzini, che – vale la pena ricordarlo – rifiutò sempre la dittatura che, in quegli stessi mesi, adottavano sia Guerrazzi a Firenze sia Manin a Venezia e che Garibaldi avrebbe invocato più volte.
Una scelta che nasceva dalla consapevolezza della superiorità morale prima ancora che politica della forma repubblicana e che lo avrebbe portato a rivendicare con orgoglio nelle proprie Note Autobiografiche: “Governammo senza prigioni e senza processi […] spezzammo le piccole cospirazioni. […] Queste cose furono dovute all’istituzione repubblicana […] che diede subitamente a ciascuno coscienza del proprio dovere e del proprio diritto, alla nostra fiducia nelle moltitudini, alla fiducia delle moltitudini in noi”.
Pietro Finelli
Caro Finelli, ringraziandoLa per l’attenzione, prendo volentieri atto della Sua autorevole interpretazione del concetto di “democrazia pura” come contrapposto al sistema “misto” in cui gli “elementi monarchici e aristocratici”, Lei scrive, “sono completamente assenti”. Esprimo un modesto dubbio causa la discussione del 1830 fra Mazzini e Buonarroti. Possibile che Buonarroti la intendesse esattamente nel modo da Lei descritto, ma Mazzini per lo meno non pone una discriminante verso gli aristocratici, in quanto l’aristocrazia italiana, rispetto a quella francese, da una rivoluzione nazionale, ha nulla o poco da perdere. Cristina di Belgioioso è una aristocratica. La mia modesta impressione è che “pura”, traduca il tedesco Reinen, che nella fine del Settecento assume in un pensatore illuminista molto influente il significato di a priori, ovvero primario, precedente, e quindi si intenda, usando questo termine, “prima di tutto la democrazia”, il solo esclusivo potere popolare, senza distinzione sociale alcuna. Questa mia modesta interpretazione, per carità, trova, il conforto di coloro che furono , inorriditi dal decreto istitutivo della Repubblica Romana, oltre al papa, si intende, il Farini e Tocqueville. Vero che un mazziniano formidabile come Edgar Quinet diceva “io sono girondino”, per cui la Sua osservazione è pertinente. Noto solo che Quinet era uno storico, mentre Mazzini era un esule ospite in Francia, della famiglia del robespierrista Cavaignac, per il quale i girondini stavano compromettendo la Rivoluzione, non perché monarchici, non lo erano, ma perché i monarchici si rifugiavano in loro. Non entro nel fatto che non c’è nessuna differenza formale fra Girondini e Giacobini, tutti sono Giacobini, infatti, fino a quando non vengono espulsi dal club. Invece darei per certo che come la si pensi sulla “democrazia pura”, la Costituzione italiana con i partiti ed il concordato, non la comprenda. Nella Roma di Mazzini il papa è fuggito, mentre, discorso del 10 marzo, Mazzini non vuole sentire parlare nell’Assemblea di destra o di sinistra, categorie della vecchia monarchia. Qui mi sembra di ascoltare Saint Just, nel suo rapporto contro le fazioni e non l’ottimo Condorcet, un altro aristocratico, tra l’altro che come Saint Just non voleva partiti alcuni. I partiti ed i sindacati sono la democrazia moderna, evoluta, non la democrazia pura che insurrezionale, nega entrambi. rb
Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina