Una descrizione più che esauriente della vita politica italiana è stata data in maniera straordinaria dall’onorevole Rino Formica in una intervista a Il Riformista, domenica scorsa. L’età e l’esperienza possono fornire requisiti per comprendere la realtà meglio di tanti interpreti improvvisati. Servono poi, ovviamente, le doti intellettuali che Formica ha sempre dimostrato negli anni. Anche se la sua impostazione generalista, non ci ha mai convinto, egli è un vecchio socialista che crede ancora nella lotta di classe, vorremmo disporre noi di tale intuizione analitica.
L’ intelligenza di Formica si dimostra immediatamente nella lettura del fenomeno politico, evitando formule di comodo ed alchimie da laboratorio. Formica non avrebbe mai creduto che il suo Psi perdesse o vincesse le elezioni a seconda se si alleasse con il Psdi o meno, ma solo se si fosse caratterizzato per quello che era, ovvero una forza capace di offrire una autentica prospettiva di cambiamento. Una volta che il Psi avesse perso questa caratteristica, nemmeno l’alleanza con tutti i santi del paradiso lo avrebbe salvato dal suo destino. Se poi si verificasse la disgrazia che all’interno di un sistema, venisse meno l’esigenza del cambiamento in quanto tale, la sinistra intera sarebbe condannata come pure lo fu il Psi. E questa è l’interpretazione del voto del 25 settembre scorso. La sinistra italiana è andata progressivamente perdendo consenso, perché ha progressivamente perso entusiasmo, passione, capacità di essere forza creativa nella società, capacità di modificare, di innovare e di riformare. Insomma anche se il Pd si fosse alleato con Calenda, con Conte, con la beata vergine, avrebbe perso lo stesso. Questo perché secondo Formica la sinistra in tutti questi anni, cioè da quando è caduto il modello socialista oltre cortina si è lasciata guidare dalla destra abbandonandosi ad una sorta di “minimalismo sociale” che non poteva non produrre che il populismo massimalista. Così come la sua indifferenza istituzionale, Formica era un convinto presidenzialista fin dagli anni ’80 del secolo scorso, non poteva “non provocare che l’abbandono della via democratica alla costruzione” consentendo “l’ingresso di forze dominanti che finiscono per diventare prima reazionarie e poi repressive”. Con il che ha liquidato il movimento 5 stelle nella versione di Conte, alto che forza di sinistra.
È così avvenuto inevitabilmente che da trent’anni a questa parte, il trasformismo delle classi dirigenti è “diventato un trasformismo per adeguamento e per rassegnazione delle masse popolari”. Mai letto tesi più brillante. Il che non consente che ci siano davvero dei vincitori. Prendiamo il giudizio dell’onorevole Formica sull’onorevole Meloni che è persino più convincente di quello sulla sinistra. L’onorevole Meloni avrebbe avuto un gran desiderio di poter essere l’Evita Peron della socialità di massa populista in Italia e pure sarà condannata dalla forza delle cose ad essere una burbera Thatcher senza neanche avere l’autonomia della guida. Questo perché la guida spetta ad altri, in sede sovranazionale. La prova di quanto detto è facile: il prossimo venti ottobre sarà ancora Draghi a presentarsi al vertice dei capi di Stato europei e nessuno si azzarderà a sostituire Draghi prima di quella data. Da qui speriamo si comprenda una volta per tutte la nostra impostazione politica tenuta fin dal 2020 con l’articolo del segretario del partito repubblicano alla Stampa e portata avanti in questa campagna elettorale. Non serviva sconfiggere una destra che avrebbe vinto. Serviva Draghi ieri e ancora di più servirà domani.
archivio storico de l’Avanti diretto da Claudio Martelli