Il libro di cui intendiamo parlare oggi (Matteo Bonazzi, Il naufragio di Ulisse. Un viaggio nella nostra crisi, Einaudi, Torino 2023, pp. 112) muove presentando la figura di Ulisse come quel simbolo in grado di «indicarci […] la rotta per aiutarci a non naufragare in questi tempi burrascosi», come una delle metafore più appropriate «per pensare la nostra condizione in tempi di crisi e di incertezza». L’eroe greco – complice, soprattutto, l’immagine che di lui ci ha trasmesso Dante – è stato visto rappresentare l’archetipo di un uomo proteso verso la conoscenza, sempre pronto ad imbarcarsi alla scoperta di mondi sconosciuti. Omero, l’inventore della sua leggenda, ce lo presenta, invece, come l’eroe della nostalgia, sempre desideroso di ritrovare la via di casa. Ebbene, a tutt’oggi, la prima immagine ha surclassato nettamente la seconda, per quanto quest’ultima – come si è visto – corrisponda al modello originale. E il modo in cui l’immagine di Ulisse quale eroe della conoscenza si forma nella mente di Dante ce lo mostra Bonazzi, ricostruendo la ricezione, da parte del sommo poeta, dell’etica di Aristotele attraverso la mediazione di Cicerone. L’Ulisse di Dante è, infatti, filosofo e filosofo aristotelico, in particolare, dedito a quell’attività – l’attività contemplativa –, la quale, indirizzandoci verso la felicità ed esaltando la nostra natura divina, fa sì che la vita sia veramente degna di essere vissuta.
Bonazzi nota come, nella Divina Commedia, fra Dante e Ulisse si stabilisca una segreta simmetria, in quanto il primo svolge il ruolo di «doppio positivo» del secondo. Proprio dove il viaggio di Ulisse oltre le colonne d’Ercole va incontro al naufragio, lì inizia l’ascesa trionfale di Dante attraverso i tre regni, che lo condurrà fino alla contemplazione di Dio. «La Divina Commedia, il viaggio di Dante, è una sorta di controcanto del viaggio di Ulisse. I punti di convergenza sono notevoli […]. Per molti aspetti, Dante è come Ulisse, è come i filosofi. Anche lui è mosso dalla stessa passione. […] Ulisse e Dante sono due figure parallele, entrambe mosse dal desiderio di capire e di conoscere. E infatti anche il viaggio di Dante […] è un viaggio di conoscenza: l’obiettivo è in fondo lo stesso dell’Etica Nicomachea – vedere e comprendere la realtà come la vedrebbe e comprenderebbe Dio, in tutta la sua bellezza e necessità».
Ma al di là dei punti di convergenza, da sottolineare sono anche i punti di divergenza che corrono fra Dante e Ulisse. Infatti, solo il primo raggiunge la meta tanto agognata, in quanto il suo viaggio è un cammino di salvezza verso la felicità inscritto in un disegno divino. Ulisse è il simbolo sì della sete di conoscenza, ma questa conoscenza senza il sostegno della grazia non è vera sapienza: è nulla. In lui, a essere condannato da Dante non è tanto il desiderio di conoscenza, quanto la pretesa di poterlo realizzare fidando esclusivamente nelle proprie forze. «È la grande lezione della Divina Commedia. La ragione da sola non basta. Esseri finiti, senza la fede e l’aiuto divino, gli uomini non riusciranno mai a realizzare il desiderio di conoscere la potenza infinita di Dio e dunque di decifrare il mistero della realtà e dell’esistenza». In sostanza, attraverso la tragedia di Ulisse, Dante compie l’espiazione di uno dei suoi più grandi peccati: aver creduto, per un certo tempo, che la filosofia, da sola, ci possa salvare. «Ulisse muore per scontare i peccati di Dante».
Dal sommo poeta, Bonazzi passa poi a Nietzsche, che non ha mai nutrito una grossa simpatia per Ulisse. Cosa che stupisce, perché egli si è formato come filologo classico e ha dedicato i suoi primi scritti a Omero. La sua preferenza, piuttosto che all’Odissea, va all’Iliade, i cui motivi di fondo (forza, valore, lotta) saranno al centro della sua riflessione. Il punto è però che, in Nietzsche, c’è un nuovo modo di intendere il viaggio: in lui la cui vita è stata un peregrinare ininterrotto. Dante, Ulisse, Aristotele condividono un punto di vista fondamentale: il viaggio è in vista di una meta da raggiungere. Non più però per Nietzsche, per il quale il viaggio è proiettato verso una destinazione sempre irraggiungibile, anzi, è tale che non si segue neanche una vera e propria direzione. Non solo, ma, per lui, la nave, nel salpare, si avventura senza paura in avanti, tagliando anche tutti i ponti alle sue spalle. In tal senso, forse in un punto Nietzsche si identifica con l’Ulisse omerico. In merito all’episodio delle Sirene, nel senso che si atteggia a uno che, affrontando impavido il loro canto, lascia che siano i suoi paurosi compagni a turarsi le orecchie con la cera.
Bonazzi rievoca il contesto entro cui, ne La gaia scienza, prende forma la famosa sentenza di Nietzsche su «Dio è morto». Ebbene, il fatto che saremmo stati noi ad ucciderlo viene messo in rapporto con la nuova immagine, «sproporzionata e spaventosa», del mondo che si impone in seguito alla rivoluzione scientifica, dove si passa da un’idea di un universo chiuso all’idea di un universo infinito e in espansione. Ne discende che «la conoscenza diventa dannazione», perché l’intera natura «è risucchiata nel vortice di insensatezza che avvolge l’esistenza umana».
Il libro termina sollevando un interrogativo decisivo: il desiderio di conoscenza, la cui icona può essere considerata Ulisse, ci può aiutare anche a far chiarezza circa la distinzione fra il bene e il male? La nostra ragione, da sola, è sufficiente o deve essere sempre guidata da un’istanza etica e morale? E ciò anche perché Dante ci presenta l’eroe greco come colui che invita i suoi compagni a «seguir virtute e canoscenza». Forse, il desiderio di conoscenza, in quanto passione travolgente, è un desiderio così totalizzante che lascia in secondo piano il momento della responsabilità etica. Ulisse stesso, nonostante l’invito che abbiamo appena visto, privilegia decisamente la «canoscenza» rispetto alla «virtute». Ma tutto ciò, al prezzo di quali conseguenze? Il pensiero corre, ad esempio, alla bomba atomica, la cui scoperta non è stata ostacolata da nessuna preoccupazione etica. Se l’uomo non rispetta i limiti che gli sono imposti dalla natura, ecco che ci vuole poco tempo e siamo alla crisi ecologica e ambientale che, senza mezze misure, caratterizza i nostri tempi. Per cui, se, almeno in Occidente, le condizioni di vita, grazie ai progressi della scienza, tendono sempre a migliorare, le prospettive a lungo e medio termine sono sempre più preoccupanti. Il problema, ovviamente, non riguarda la scienza in sé, ma l’uso indiscriminato che noi ne facciamo. In un certo senso, è come se il Dio di Nietzsche non fosse mai morto, in quanto incrollabile resta dentro noi la convinzione che i nostri problemi etici ed esistenziali possano essere risolti oggettivamente. Dalla scienza, dalla tecnica, dall’algoritmo. «Sarebbe bello, ma per ora non sembra proprio che sia così. Forse converrebbe prendere atto del fatto che questa risposta non può arrivare dall’esterno».
Salvator Rosa, Ulisse e Nausicaa, 1661 | Foto Dimitri Antoniu | CC BY-SA 2.0