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30 giugno, la caduta della Repubblica

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
30 Giugno 2023
in Cultura
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Nel suo straordinario libro Storia avventurosa della Rivoluzione romana, un amico carissimo qual era Stefano Tommassini a lungo collaboratore di questo giornale, sosteneva che invece del 9 febbraio i repubblicani avrebbero dovuto festeggiare il 30 giugno, la resistenza sul Gianicolo. Tommassini li chiamava “gli eroi, gli esuli, i disgraziati”, quelli che si batterono per più di un mese, armi alla mano, prima di soccombere sotto un peso militare superiore e al tradimento degli impegni presi. Il 30 giugno morirono anche Emilio Morosini e Luciano Manara, Emilio non aveva 20 anni Luciano 24, e si trattava di veterani di guerre italiane. Con loro decine di combattenti, da Enrico Dandolo a Masini, a Mameli, persero la vita. Quello che tormentava Tommassini era che il nucleo migliore della futura classe dirigente italiana si spegne sul Gianicolo. Non sarà facile trovare qualcosa all’altezza negli anni a venire, ed infatti non lo si troverà. Il futuro dell’Italia sarà una monarchia inetta e poi il fascismo, all’ombra di un papato capace di rigenerare le sue forze. Questa pagina della storia italiana che cambiò il corso del Risorgimento è sempre stata tenuta in secondo piano nella storiografia ufficiale. Presenta tanti elementi imbarazzanti, per prima cosa la fuga del papa. Roma ne è priva durante quell’esperienza, secondariamente lo scontro con i francesi, ovvero il grande alleato delle guerre di Indipendenza, infine la sconfitta della forza repubblicana. Il 3 luglio del 1849 Mazzini uscirà dalla scena della politica attiva, l’ambasciatore americano lo salva costringendolo ad imbarcarsi per l’Inghilterra da dove non si muoverà più fino al 1860. Il movimento mazziniano si sgretola, pochi fedelissimi arroccati intorno a Saffi a Forlì, gli altri che cercano vie originali, Orsini, quelli che si conciliano con la monarchia, Crispi, quelli che oscillano, come Garibaldi.

Uno storico di peso nella cultura italiana ed europea, Rosario Romeo, convinto sostenitore della politica cavouriana, scrive che essa vinse sulla proposta rivoluzionaria e giacobina di Garibaldi che in verità era funzionale alla corona nei momenti cruciali della spedizione in Sicilia e poi a Teano. Mazzini era tornato in Italia per convincere Garibaldi a proclamare la Repubblica e assumere la dittatura, quello invece si sottomette al re. Per cui dispiace contraddire Romeo. Solo parzialmente Garibaldi ha una posizione giacobina, che invece è tutta di Mazzini come si evince dall’incontro di Napoli tra lui ed il generale. Garibaldi è completamente incapace di una qualsiasi linea politica, è solo un militare.

Sotto questo profilo l’articolo del 26 giugno scorso di Nando della Chiesa pubblicato da il Fatto quotidiano, pone un argomento autentico, Mazzini ed il suo movimento sono la rivoluzione italiana, non è possibile vederli recuperati dal fronte conservatore. “Ma davvero vogliamo regalare Mazzini alla destra meloniana?”. Nando dalla Chiesa evidentemente non si rende conto che Gramsci trattando il Risorgimento come lo ha trattato regalò Mazzini a Mussolini, altro che alla Meloni, su un piatto d’argento. È il socialismo italiano con Gramsci che accusa Mazzini del fallimento del progetto rivoluzionario, ad aprire la strada al fascismo, che si butterà sopra Mazzini senza nemmeno conoscerlo. Mussolini ammetterà di averlo letto solo in tarda età e pure ogni anno si recava a rendere omaggio al sacrario del Gianicolo anche sotto le bombe alleate. L’unico capo di governo regio ad aver onorato il 9 febbraio è stato Mussolini. Poi c’era Gentile che aveva la sensibilità culturale sufficiente e un’arte della manipolazione tale da recuperare Mazzini nel mito unitario, quando il partito comunista aveva visto in Mazzini solo lo sconfitto del Risorgimento.

Sarebbe stato interessante avere il punto di vista di Mazzini a riguardo, che pure esiste. Mazzini considerava destra e sinistra come espressioni della monarchia, lui voleva essere parte del progresso popolare. La sua parola d’ordine, lanciata il 10 marzo a Roma è proprio “la democrazia pura”, che non si divide in fazioni. Poi cosa sia la “democrazia pura”, rimane un problema dati i pochi mesi di governo. Si comincia con la votazione di un’Assemblea romana, poi si sequestrano i beni della Chiesa per risanare il bilancio. La costituzione era principalmente dovuta alla ricerca di un’intesa con Luigi Bonaparte che era ancora repubblicano. Tocqueville non lo era. Anche questo non ha capito Gramsci, Mazzini la piazza d’armi la convoca eccome, ma cerca la trattativa perché non ha le forze per combattere la Francia e soprattutto, non ne ha motivo. Se la destra e la sinistra invece di rincorrere Mazzini, tanto non lo afferrano e sarebbe loro indigesto, potrebbero almeno una volta fare qualcosa di mazziniano. Per carità, non osiamo dire sequestrate i beni del Vaticano, mai più ci verrebbe il pensiero. Ma l’Imu, almeno quella, ai preti, fargliela pagare.

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Tags: Dalla ChiesaMazzini
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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