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La maschera più feroce della Repubblica

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
2 Aprile 2023
in Cultura
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Il 3 aprile 1794 i comitati ottengono la denuncia del convenzionale Legendre di un complotto delle mogli di Desmouilin e Danton ordito per tutta Parigi in modo da liberare i mariti incarcerati. I comitati fanno votare un decreto dalla Convenzione per estromettere Danton dal corso del dibattimento. Danton sarà condannato. Quello che non si capisce è come mai Legendre si presti a diventare lo strumento nelle mani dei comitati. È stato minacciato? Ha sposato la causa di Robespierre? Perché due fidati uomini di Danton come Legendre e Bourdon si siflano così rapidamente? È la paura che li spinge a tanto, o è un velo a cadergli davanti agli occhi, come pure dicono? Solo le deduzioni sono possibili, non esistono documenti storici in grado di fornire una testimonianza attendibile. Di tutti i ritratti che esistono di Danton nessuno è davvero corrispondente alla sua maschera. La mano che lo dipinge è guidata dall’odio o dall’ammirazione, basta scorrerne la galleria per accorgersi delle troppe discrepanze, Danton non posava. Fra tutti i suoi difetti mancava il più tipico, quello della vanità. Anche lo schizzo di David, il viso di Danton sulla carretta, non è attendibile. David è il più grande contraffattore che esista in tutta la storia dell’arte francese. Se si vuole un’immagine autentica di Danton bisogna rintracciare un’incisione anonima di una assemblea ai club dei cordiglieri. Si vede questo corpo enorme stagliarsi sul palco, una testa ancor più gigantesca quasi priva di naso e di occhi, una bocca che è una voragine. Dato per certo che il volto di Danton fosse butterato dal vaiolo, il suo, non quello di Robespierre, Danton era un mostro. Se poi è così difficile rielaborare i lineamenti del viso di un simile personaggio, figurarsi avere una precisa idea del suo pensiero. Danton non ha mai scritto un rigo. Anche i suoi interventi alla Convenzione sono degli epigrammi, per cui bisogna rimettersi ai testimoni che li riportano nelle cronache o a Desmoulins che passa la vita a scrivere e quindi inevitabilmente mette molto del suo.

Danton viene considerato comunemente l’uomo del 10 agosto, ovvero dell’assalto alle Tuileries. Eppure Danton, come Marat, come Robespierre, non crede che riesca il colpo messo in atto dalla Gironda. Vergniaud è l’uomo del 10 agosto, Barbaroux, i girondini. Al limite vi sono dei messi di Danton, il generale Westermann ad esempio è al carrousel, trucida gli svizzeri. Invece Danton è l’unico che capisce il problema politico dopo il 10 agosto, l’esigenza di un nuovo governo, perché il vuoto di potere causato dalla caduta del re, è destinato a risucchiare subito coloro che lo hanno aperto. Non ci sono dubbi invece che la testimonianza delle memorie del giovane duca di Orleans, il futuro re di Francia, sulla responsabilità di Danton del massacro nelle carceri, sia autentica. Danton, non Marat, non Robespierre, comprende l’esigenza che i rivoluzionari inviati al fronte non abbiano da temere una sommossa all’interno. “Un solco di sangue deve dividere gli emigrati da noi”, frase riportata da Luigi Filippo dettagli da Danton nel suo colloquio. Solo il responsabile del massacro poteva poi proporre il tribunale rivoluzionario per risparmiare gli eccessi del popolo. Ed è sempre Danton a liquidare dalla Convenzione tutti i suoi avversari al governo, la Gironda insomma. Sconfitta la Gironda, Danton è l’autentico padrone della Francia. Controlla l’esercito, il Tribunale, la Comune, la Convenzione. E cosa fa questo nuovo padrone della Francia? Lascia il governo e se ne va in campagna. Tutto il suo enorme potere si disperde fra un farabutto come Hebert, lo ha messo Danton Hebert alla Comune, ed ai comitati in cui ha pure fatto entrare, l’anti Hebert, Robespierre. Inizia la guerra fra i comitati e la Comune che si concluderà con la sottomissione della stessa nel marzo del ’94. Svuotato il potere della Comune e quindi del Club, Danton prima e Robespierre poi sono destinati alla loro fine politica. Uno trascina l’altro.

Il vero mistero della Rivoluzione è perché Robespierre si lasci convincere dell’arresto di Danton. Era davvero una minaccia dopo che Danton si era ritirato nelle sue proprietà con la sua giovane seconda moglie aristocratica? Il mostro aveva un cuore sensibilissimo, scoperchia la bara della prima moglie per abbracciarla un’ultima volta e si invaghisce completamente della seconda. Poi torna a Parigi ed i comitati tremano. Ma Danton era solo annoiato. Perché mai Robespierre lascia il suo principale sodale per trovarsi alla mercè de comitati. E’ sicuro il giudizio di Robespierre su Danton, nessuna canaglia era più spregevole di lui nello sfruttare la Rivoluzione. Tutto il club cordigliere è innaffiato dai soldi del duca d’Orleans, a incominciare da Marat e Danton è il primo che arraffa appena arrivato al governo. Robespierre con tutte le spie di cui dispone, lo sa dal primo momento.

È possibile che il moralismo di Robespierre perse la causa rivoluzionaria, e che Robespierre si sovrastimasse rispetto alla miseria dei comitati. È possibile insomma che Robespierre non avesse mai avuto le doti politiche di Danton che pure si stancò della politica. Anche di questo bisogna tenere conto. Danton, si faceva chiamare fino al 1789, D’Anton. Per quanto talento potesse avere dimostrato, non sarebbe mai potuto diventare un professionista della Rivoluzione. Solo una maschera, feroce, della Repubblica.

Foto Vizille, musée de la Révolution française

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Tags: comitatiDanton
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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