Nel 1796 vengono pubblicate Le Lettere di un tedesco in America di Dietrich von Bülow. Diciamolo subito, così siamo chiari. All’autore gli rode un po’. Ha provato a far fortuna in America, importando vetreria, ma non c’è riuscito. E quindi gli è rimasto il dente avvelenato. Questo ci aiuta a giustificare alcune esagerazioni e alcune iperboli (“Gli americani rubano per sei giorni e il settimo pregano”). Ma il testo è interessante, molto, per l’idea da cui parte l’autore che tutte le istituzioni, senza lo spirito che le vivifichi, sono castelli di carta. Nello specifico lo stesso spirito repubblicano può disertare una costituzione repubblicana che dunque resterebbe tale in modo puramente formale. Chiosa Jacques D’Hondt in un noto paragrafo a lui dedicato: «C’è in esso il presentimento della concezione della ‘positività’ delle istituzioni, da cui lo spirito si è allontanato». Bülow utilizza delle espressioni che troviamo pari pari in Hegel: «Una costituzione è allora del tutto simile a un corpo senz’anima». Interpretazione che sarà anche degli hegeliani sul Risorgimento: Raffaele Mariano, per esempio, brillante allievo di Augusto Vera. Bülow, dicevamo, lo constata negli Stati Uniti.
«Egli insiste sul fatto che la popolazione […] si compone di immigrati e di discendenti di immigrati venuti dall’Europa. Hegel, dal canto suo, attribuisce a questo fatto una grandissima importanza, poiché gli serve per giustificare l’esclusione degli Stati Uniti dalla storia mondiale: essi costituiscono una semplice escrescenza o un’appendice dell’Europa. Arriva persino a paragonarli ai sobborghi industriali che si insediano ai margini delle grandi città. Ciò che vi accade non è che l’ “eco del Vecchio Mondo ed espressione di una vitalità estranea”. Essi non sono che un “annesso” (ein Annexum) dell’Europa. Bülow giungeva al punto di affermare che gli immigrati nord-americani erano per la maggior parte poco raccomandabili. Hegel, a sua volta, li paragona ai bancarottieri che vanno a cercar fortuna e dichiara che l’America è diventata un campo di rifugio (Zufluchtsort), verso cui si è diretto il rifiuto dell’Europa (der Euswurf von Europa)».
Ci ricorda Jacques D’Hondt: «Hegel ha sempre giudicato in modo sfavorevole uno Stato sorto direttamente dalla ‘società civile’, fondato su di essa ed esclusivamente rivolto alla salvaguardia delle singole persone e dei loro interessi. Egli non ha neppure pensato che uno Stato simile potesse essere vitale. Vi ravvisava come una sorta di paradosso. Non ci si può consacrare né sacrificare per uno Stato al quale si è legati esclusivamente dall’interesse. […] Rievocando l’esempio dei cittadini che consegnano la loro città al nemico senza combattere, egli scriveva: “E perché avrebbero potuto voler morire combattendo? La conservazione della città poteva essere importante per ognuno di loro solo per conservare la proprietà e il godimento di essa. Se uno si fosse esposto al pericolo di voler morire combattendo, avrebbe compiuto qualcosa di ridicolo; infatti il mezzo, la morte, avrebbe immediatamente distrutto il fine, la proprietà e il suo godimento”». Non ci può essere patriottismo se la patria si riduce a una specie di società d’assicurazione degli interessi individuali. Lo Stato per Hegel deve sempre perso al di là e al di sopra della società civile. Sarà Marx a fondarlo invece su di essa.